«Quell'uomo mi pareva un extraterrestre» di 1. T.

«Quell'uomo mi pareva un extraterrestre» «Quell'uomo mi pareva un extraterrestre» Parla l'avvocato difensore che ha scritto «Reversai of Fortune» P disperato e tanto clamoroso? Il primato del processo von Bùlow è piuttosto quello d'essere stato forse il più costoso mai celebrato contro una singola persona: una cifra, direi, ragionevolmente valutabile sui tre milioni e mezzo di dollari (quattro miliardi e duecento milioni di lire circa). Anche clamoroso, certo: ma il processo americano è sempre stato una forma d'intrattenimento, un mix tra soap opera, spettacolo sportivo e dramma morale. Pareva anche un caso disperato, e questo rappresentava per me uno stimolo in più, una sfida. Ero poi indignato dalla violazione di diritti compiuta dal figlio maggiore della signora von Bùlow e da un investigatore privato: hanno aperto serrature, frugato tra gli indumenti e le cose personali di von Bùlow; senza alcuna autorizzazione né veste né forte motivo per farlo, hanno compiuto una perquisizione che era illegale da parte di privati cittadini, e che certo non si sa¬ LONDRA P ICCOLO, vivace, conciso, con gli occhiali e con i capelli spesso scompigliati, Alan M. Dershowitz è l'avvocato artefice dell'assoluzione finale di Claus von Bùlow da quell'accusa d'aver tentato due volte d'uccidere la ricchissima moglie per la quale era stato condannato in prima istanza a trent'anni di prigione. E' pure l'autore di Reversai of Fortune, il libro sulla vicenda giudiziaria da cui è stato tratto il film diretto da Barbet Schroeder, interpretato da Jeremy Irons e Glenn Close: Il mistero von Bùlow è il titolo italiano del film, e del libro che verrà pubblicato da Longanesi. Docente universitario di diritto penale, psichiatria giuridica e diritti umani alla Harvard Law Faculty, militante per i diritti civili, collaboratore di molti giornali e reti televisive, è stato difensore pure di Patricia Hearst e di Anatol Sharansky. Cosa l'ha indotta ad accettare un caso apparentemente rebbero permessa se non avessero avuto la protezione della ricchezza. Si voleva stabilire un precedente, che i ricchi fossero al di sopra della legge; lo Stato deve difendersi dalle polizie private dei ricchi. Com'è stato frequentare Claus von Bùlow? Per me? All'inizio, come trattare con un extraterrestre. Lui abitava a New York in Fifth Avenue. Per la mia famiglia di Brooklyn, quella strada era al massimo un'attrazione turistica. Mio padre aveva con un socio un negozietto di roba all'ingrosso nel Lower East Side, i nostri vicini erano operai o bottegai, da ragazzo io non ho mai conosciuto un ricco. E il nostro incontro tra opposti è cominciato con un conflitto: von Bùlow non voleva soltanto un avvocato, ma anche un amico e un sostenitore, il che era per me professionalmente inaccettabile; lui temeva che certe sue conoscenze fossero infastidite dalla presenza nel processo di un «ebreo aggressivo», e per me una simile preoccupazione non poteva essere gradevole. Ma mi sbagliavo. Von Bùlow, che non aveva mai conosciuto nessun ebreo, aveva verso gli ebrei un pregiudizio positivo: pensava che fossero intelligentissimi e molto furbi. C'è voluto tempo per fargli capire che sono come tutti gli altri. Qual è stato l'altro incontro più singolare? Quello con Truman Capote, una domenica di maggio del 1982. L'avevo cercato dopo aver letto un'intervista nella quale parlava della sua vecchia amicizia con Sunny Crawford, poi signora von Bùlow. Mi disse subito d'essere scandalizzato dal fatto che la verità sul costume di vita di lei non fosse minimamente affiorata durante il processo: tutti gli amici sapevano della sua abitudine a pillole, iniezioni, siringhe, droghe, Demerol, anfetamine, Quaaludes eccetera, disse. Qual è stata la più grande sorpresa? Vincere, naturalmente. Ma so¬ prattutto vedermi nel film, recitato da Ron Silver: ho avuto una reazione fisica, la strana impressione d'essere espropriato del mio corpo, derubato della mia identità, sottoposto a un processo di stereotipizzazione e riduzione. Ho accettato il progetto del film anche perché vi era coinvolto mio figlio Elon che lavora nell'industria cinematografica, ho apprezzato il risultato, ma non permetterò mai più che nessuno interpreti il personaggio di me stesso. Alla fine del libro, il lettore non trova una sua risposta alla domanda più bruciante: Claus von Bùlow è stato assolto, ma era davvero innocente? Io non lo so, se è innocente oppure no. Legalmente, era innocente del reato di cui veniva accusato. Se è moralmente innocente lo sapranno il suo prete, il suo psichiatra, la sua donna, i suoi amici. Io non mi azzardo a giudicare. Io non sono un ayatollah, sono un avvocato. [1. t.]

Luoghi citati: Londra, New York