Alle urne entro il 9 giugno

Alle urne entro il 9 giugno Alle urne entro il 9 giugno ROMA. Se la Corte Costituzionale dovesse dare via libera ai referendum, quali strumenti possono bloccare la consultazione popolare? Lo scioglimento anticipato delle Camere, minacciato dal psi, sarebbe la soluzione più traumatica, ma risolverebbe solo in parte il problema. Si andrebbe alle urne col vecchio sistema, ma entro un anno le leggi elettorali tornerebbero in discussione. La sentenza della Corte resterebbe valida e il Capo dello Stato dovrebbe comunque indire i referendum. Sempreché nel frattempo non fosse approvata dal Parlamento una riforma sostanziale. Oppure si potrebbe cambiare subito la legge, ma c'è pochissimo tempo. Il voto definitivo dovrebbe arrivare prima del 9 giugno. Per legge, i referendum debbono svolgersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Quest'anno il 15 giugno è un sabato, quindi l'ultima domenica utile è il 9. Per lasciare le cose come stanno vi sono altre due ipotesi: l'astensionismo, che già ha vinto contro caccia e pesticidi, alleato del «no», e la sconfitta dei «sì». stenitori del «no», è funzione legislativa, propria del Parlamento che non può essere delagata al corpo elettorale. La legge attuale prevede tutta una serie di condizioni per essere eletti nelle assemblee legislative nazionali e locali: 1. Senato. Ogni Regione è divisa in tanti collegi quanti sono i senatori ad essi assegnati. Si tratta di collegi uninominali nei quali le candidature sono individuali: per essere eletti immediatamente occorre raccogliere un numero di voti validi non inferiore al 65 per cento dei votanti. I collegi uninominali sono 238, su 315 seggi senatoriali. I 77 restanti sono attribuiti col 2. Camera. Le modifiche tendono alla riduzione delle preferenze ad una soltanto e l'obbligo di scrivere per esteso il cognome del candidato senza più poter usare solo il numero di lista. Uno stratagemma per evitare brogli. 3. Comuni. Il progetto è di unificare il sistema maggioritario a tutti i Comuni. E quindi anche a quelli con più di 5 mila abitanti. Un sistema che consente una maggiore stabilità amministrativa, ma che penalizza i partiti minori. Sarà personalmente Giovanni Conso, l'attuale presidente della Corte Costituzionale, torinese, già vicepresidente del Csm, ad illustrare ai tredici colleghi la sottile questione giuridica su cui si gioca in realtà una difficile partita politica. Conso è un cattolico indipendente, eletto alla Consulta da Sandro Pertini ed è stato considerato da sempre un giudice al di sopra delle parti. E' stata la sua proverbiale indipendenza di giudizio ad infrangere la regola che escludeva dalla corsa per la presidenza il candidato ormai giunto al termine del mandato di giudice costituzionale. Contro ogni iniziale pronostico che dava per preferito il socialista Ettore Gallo, la Corte lo ha votato all'unanimità, affidandogli la più breve presidenza della storia della Consulta: esattamente 104 giorni. Alla scelta non è stata estranea la scadenza sui referendum. La Corte ha voluto presentarsi a questo appuntamento con un presidente autorevole e non legato a partiti politici. E Conso non ha esitato a difendere l'autonomia della Corte. Nel pieno dell'infuriare della polemica sul possibile condizionamento che la decisione di Palazzo Chigi di costituirsi in giudizio avrebbe potuto avere sulla Consulta, Conso ha stroncato sul nascere qualsiasi illazione: «Ci mancherebbe altro che la Corte si lasciasse influenzare!», ha detto lasciando intendere che la Corte deciderà in piena libertà. Un segnale, e anche un avvertimento, che è stato apprezzato e raccolto dagli altri i 77 seggi.

Persone citate: Conso, Ettore Gallo, Giovanni Conso, Sandro Pertini

Luoghi citati: Roma