I reaganiani condannano Bush, il traditore di Franco Pantarelli

I reaganiani condannano Bush, il traditore I reaganiani condannano Bush, il traditore Divorzio tra il nocciolo duro dei conservatori e il Presidente WASHINGTON NOSTRO SERVIZIO George Bush ormai è da buttare. Con il sano conservatorismo americano ha a che fare ben poco, e se le cose vanno male non prendetevela con noi: la Heritage Foundation, il gruppo conservatore più potente, che durante gli anni di Ronald Reagan ha praticamente «fatto» l'Amministrazione impostando politiche e redigendo organigrammi, ha formalmente annunciato il proprio divorzio da George Bush, reo di avere ignorato tutti i suggerimenti ricevuti. «Noi conosciamo Ronald Reagan, e George Bush ha mostrato di non essere Ronald Reagan», ha detto ieri con enfasi il presidente dell'Associazione, Edwin Feulner, presentando il suo annuale rapporto sullo «stato del conservatorismo». A questo punto, ha incalzato poco dopo il suo vice, Burton Pines, è chiaro che chi co¬ manda a Washington è «un'elite di tecnocrati che ritengono loro pubblico dovere quello di dirci come spendere il denaro che loro ci permettono di avere». Il grande compito che il movimento conservatore dovrebbe porsi sarebbe quello di «liberare» il Presidente da quei tecnocrati, ma è dubbio che lui voglia essere liberato. Anzi, sempre Scjondo Pines il Presidente, «come accadde a Patty Hearst, ha imparato ad amare i suoi carcerieri». Il riferimento è alla figlia del magnate della stampa che fu rapita dai «guerriglieri simbionesi» e poi ne abbracciò la causa. La delusione dei conservatori nei confronti di Bush è cominciata, come si sa, dopo che il Presidente ha rinnegato il suo famoso slogan elettorale, «leggete le mie labbra: niente nuove tasse», e ha fatto un accordo con i democratici per la riduzione del deficit pubblico che comporta anche un aumento delle tasse. Ma la delusione della Heritage Foundation ha forse delle radici più profonde. Nata 15 anni fa, con un capitale di 260 mila dollari fornito da un miliardario del Colorado, il fabbricante di birra Joseph Coors, l'associazione fu in grado, dieci giorni dopo che Ronald Reagan ebbe vinto la sua battaglia contro Jimmy Carter, nel novembre 1981, di presentare al Presidente eletto uno studio chiamato «Mandate for Leadership» in cui si spiegava per filo e per segno cosa avrebbe dovuto fare il nuovo capo della Casa Bianca. Un anno dopo, in un nuovo rapporto, la Heritage fu in grado di dimostrare con orgoglio che Reagan aveva accolto il 60% delle sue 1270 raccomandazioni. Non solo: nell'amministrazione Reagan erano entrati a far parte numerosi affiliati all'Associazione, alcuni in posti importanti come quello di ministra degli Interni e di commissario della Social Security, una specie di previdenza sociale. La Heritage, a quel punto, era diventata potentissima. Con Bush tentò di fare la stessa cosa. Subito dopo le elezioni del novembre 1989 redasse un rapporto cui avevano lavorato ben quattrocento persone. Ben accolto dal vicepresidente Dan Quayle, quel rapporto è però stato pressoché ignorato da Bush, ed anche i 2500 nomi di possibili «collaboratori» della nuova Amministrazione che il rapporto faceva sono stati scarsamente presi in considerazione. La differenza, dicono gli osservatori distaccati, è, che Reagan arrivò a Washington sull'onda di un sentimento «contro i politici» e quindi aveva bisogno sia di consigli sia di personale nuovo, mentre Bush in un certo senso è entrato alla Casa Bianca con l'intento di restaurare proprio il «primato della politica». Franco Pantarelli

Luoghi citati: Colorado, Washington