Dostoevskij ragazzo felice di Lia Wainstein

Le rivelazioni sull'infanzia a Mosca del grande scrittore Le rivelazioni sull'infanzia a Mosca del grande scrittore Dostoevskij ragazzo felice //padre un tiranno? Non è vero pt ICRITTORE di un fascino L ' perdurante, in crescita, si m direbbe, con lo scorrere il degli anni, Dostoevskij, *J I benché su di lui ci siano molti studi, merita certo che si intraprenda una minuziosa ricostruzione dei suoi primi ventotto anni, dalla nascita nel Ì821 fino alla condanna a morte nel dicembre del 1849, dopo una macabra farsa commutata da Nicola I in quattro anni di lavori forzati e quattro anni di servizio militare da soldato. Il sovietico Pavel Kosenko, autore di un libro sulla deportazione di Dostoevskij, ora grazie all'analisi approfondita di memorie, lettere, testimonianze di contemporanei, ha potuto tracciare un quadro diverso da quello tradizionale dell'infanzia e della gioventù dello scrittore, e smentire alcune interpretazioni infondate {Cronaca della giovinezza di Fjodor Dostoevskij, letterato mensile Prostor nn. 9-10, Alma-Ata). Da una breve genealogia della famiglia a partire dal 1389 si apprende che gli antenati «murzy» (condottieri tartari dell'Orda d'oro) si trasferiscono nello Stato moscovita, poi emigrano in Lituania al seguito dei principi Jaroslavici. Nel Cinquecento un antenato, Danil Irtisc, riceve in dono il villaggio di Dostoevo, in Bielorussia, e da esso i discendenti prendono il nuovo cognome, benché alcuni di loro occupassero in Lituania dei posti governativi abbastanza elevati, rimasero sempre ortodossi, in un paese cattolico in cui la religione aveva un'importanza enorme, e questo fatto, secondo Kosenko, causò la decadenza e l'impoverimento della famiglia. Nella prima metà dell'800 in Russia, nel clima euforico diffuso dopo la vittoria su Napoleone, quando molta sognavano gloriosi destini per i figli, i genitori del futuro scrittore, invece, si auguravano che i loro quattro maschi diventassero bravi funzionari dello Stato, o alla fine della carriera, maggiori generali, oppure docenti universitari. Secondo la tesi convincente di Kosenko, l'infanzia e la giovinezza di Fjodor furono senza dubbio serene. Innanzitutto viene smentita la leggenda di un padre - come lo descrive il biografo Leorild Grossman - tirannico, tirchio, collerico, alcolizzato, di una gelosia morbosa. Se Michael Dostoevskij era effettivamente geloso, il suo matrimonio fu però felice, come sarà poi, a giudicare dalle memorie della seconda moglie Anna Grigorievna, quello dello scrittore. Il padre in realtà era buono, impulsivo ed esigente, quando dava le sue lezioni di latino, che duravano spesso più di un'ora, i due figli maggiori non avevano il permesso di sedersi e nemmeno di appoggiarsi al tavolo, ma «nessuno di noi» precisa il terzo figlio, Andrej, «subì mai una punizione corporale e nemmeno ricordo che i fratelli maggiori dovessero mai stare in ginocchio o andare nel cantone». In quell'epoca le verghe si usavano anche nelle famiglie nobili. I Dostoe- Parigi, battaglia sulla r e Dostoevskji visto da Levine (Copyright «N. Y. Review of Books», llpa e per l'Italia «La Stampa») ddlssgtg vskij erano insomma educatori progressisti, portavano i figli a teatro e incoraggiavano le letture. Il mito di un'infanzia tetra fu ispirato dall'ambiente, l'ospedale per poveri in cui il padre era medico, con accanto il cimitero dei criminali e suicidi. «Accessori melodrammatici», afferma Kosenko, poiché in realtà l'ospedale per poveri non era affatto «un ospedale povero»: era un edificio armonioso, costruito all'inizio del secolo da Giovanni Gigliardi, posto sotto la protezione dell'imperatrice Marija Fjodorovna; i ragazzi Dostoevskij giocavano nel grande giardino. La descrizione degli studi dei fratelli Michail e Fjodor è ricca di particolari curiosi. Morta la madre nei 1837 i ragazzi, in seguito ad una pratica avviata dal padre, vengono iscritti all'Istituto d'ingegneria di Pietroburgo e alloggiati, prima degli esami, dal capitano Kostomarov. Costui era docente all'Istituto e con l'aiuto di bustarelle agli esaminatori vi iforma dell'ortografia faceva entrare i suoi alunni. Michael tuttavia fu bocciato alla visita medica perché era miope, mentre agli studenti erano vietati gli occhiali, un fatto che difficilmente Kostomarov poteva ignorare. Fjodor fu promosso ma risultò dodicesimo. «Primi - scrive Michail al padre - furono quelli che avevano fatto dei rega¬ li... Noi non abbiamo niente da dare e comunque è vergognoso comprare i primi posti con del danaro e non con le azioni». In quell'epoca negli istituti militari fioriva il fenomeno che in russo come in italiano si chiama nonnismo. I pivelli, detti «rjabey», francolini, erano considerati dei paria. Si versava loro dell'acqua nei letti o dietro il collo, dovevano leccare dell'inchiostro, pronunciare parole oscene, strisciare sotto un tavolo. Con grande signorilità, Fjodor scrive al padre: «Grazie a Dio mi sto abituando a poco a a poco alla vita qui; dei compagni non posso dire nulla di buono». Diventato a vent'anni «ingegnere sottotenente», Fjodor frequenta i teatri della capitale, i concerti, i balli in maschera. Di questi ultimi era anche frequentatore assiduo Nicola I. «Gli uomini - ricorda un contemporaneo - si recavano ai balli negli abiti consueti, ma le signore tutte erano mascherate, in costume e ognuna aveva il diritto di prendere lo zar sottobraccio e di passeggiare con lui. Venivano distribuiti ben 80 biglietti gratuiti alle attrici, alle modiste e ad altre francesi di analoga condizione, proprio al fine d'intrigare e divertire lo zar». Fjodor intanto ha deciso di dedicarsi alla letteratura e si licenzia dal suo lavoro statale: nel 1844 sta scrivendo il suo primo romanzo, Povera gente. E' un successo immediato: lo scrittore Grigorovic e Nekrasov, che sta preparando un almanacco, ne sono entusiasti, e grazie all'ammirazione espressa dal massimo critico dell'epoca, Belinskij, «succede una cosa straordinaria: a ventitré anni Dostoevskij diventa celebre quando ancora non è stata pubblicata la sua prima opera». Belinskij osserva che in Povera gente Dostoevskij «ha mostrato quanti tratti belli, nobili, santi vi sono nella natura umana più modesta. Un pensiero degno di un socialista». Afferma Kosenko: «In quell'epoca Belinskij era diventato un socialista convinto e approvava calorosamente il terrore giacobino». Il suo era un socialismo ateo, non negava la grandezza umana ma la divinità della persona di Cristo, un atteggiamento inaccettabile per Dostoevskij, che credeva in un socialismo cristiano. Lia Wainstein GENNAIO È IN EDICOLA ss Il

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