Il vischio degli dei

Vite di alberi sull'altipiano Vite di alberi sull'altipiano Il vischio degli dei Gran virtù della quercia JL genere Quercus nella famiglia delle Cupolifere è il più numeroso: sono più o meno trecento le varie specie. Appartengono quasi tutte all'emisfero boreale e, in Europa, le troviamo quasi ovunque: sulle montagne nelle zone calde, nella pianura in quelle più fredde. Le più note da noi sono la Farcia (che ha numerose razze ecologiche o climatiche), il Rovere, il Leccio, la Rovere/la, il Fan/etto, la Sughera, il Cerro, la Vallonea maestosa e la cespugliosa Quercia spinosa sulla quale vive una cocciniglia che serviva per preparare una tintura scarlatta eccellente per sete e lane. Alcune di queste specie hanno le foglie caduche, altre semi persistenti, altre persistenti, variabili nella forma. Comuni a tutte le foglie sono le stipole membranose alla base delle stesse. Sono alberi monoici; i fiori femminili sono piccoli, isolati o anche riuniti a glomeruli; i maschili, pure piccoli, formano pcnduli amenti; fioriscono in primavera. In alcune specie i frutti, le ghiande, maturano in due anni, in altre in uno. Tutti sono alberi robusti, resistenti; alcuni raggiungono i quarantacinquanta metri di altezza e otto-dieci metri di circonferenza. più nella pagina superiore, chiare e opache di sotto. Da noi è presente nelle regioni settentrionali; sulle Alpi arriva fin verso i milleduecento metri d'altitudine e predilige i terreni freschi e profondi ma non dove sono ristagni d'acqua; ama il sole e si trova anche in boschi misti con latifoglie, specie di betulla. In un tempo lontano la farnia copriva con fìtte selve le nostre pianure fino a raggiungere le pendici degli Appennini e delle Alpi. E della grande selva solo poche isole sono rimaste a ricordarla. Il suo legno è tra i più pregiati, ha l'alburno bianco-avorio e il durame più scuro, i raggi midollari sono evidenti; e duro, compatto, molto richiesto fin dall'antichità per le costruzioni navali, pavimenti, mobili, rivestimenti. Le botti d'invecchiamento per i vini più pregiati e per i distillati sono fatte con il legno di farnia, e anche il famoso rovere di Schiavonia proviene dalla Jugoslavia. Il rovere del Danubio Ma con la farnia si fanno anche traversine ferroviarie, palafitte durevoli più di ogni altre. Bruciando, il suo legno dà grande calore e una bella fiamma chiara; il carbone di farnia era richiesto per la fusione dei metalli preziosi. Le ghiande erano privilegiate tra tutte quelle della famiglia delle querce perché poco tanniche e dolci al palato; fino a non molti anni fa erano cibo d'emergenza nelle carestie. Il Rovere ha portamento più regolare della farnia e lo ritroviamo dal Danubio ai Pirenei e fin su in Inghilterra. Più che le pianure umide, ama i fianchi delle montagne solatie e si alza fin oltre i millecinquecento metri d'altitudine. A differenza della farnia le sue foglie hanno una o due paia di lobi in più; a volte si consorzia con il faggio e il carpino. Il suo legno è più pesante ma del pari pregiato a quello della farnia. Il Leccio è bello, forte e gentile; il suo verde cupo persistente è un elemento di grande ornamento paesaggistico lungo le rive del Mediterraneo e nell'Italia insubrica. Non arriva a grandi altezze perché raramente supera i venti metri e il suo tronco non raggiunge la circonferenza delle farnie e del rovere; a volte assume anche forma cespugliosa. Le foglie si rinnovano ogni tre, quattro anni, sono dure e spesse, oblunghe, dentate. Il legno Mille anni di vita La grande farnia è la più estesa ed occupa un areale che va dagli Urali al Pacifico e dal Mediterraneo al Mare del Nord; è molto longeva e può arrivare a mille anni di vita. Il robusto fusto si biforca a formare una corona irregolare molto ampia, ma non ha una punta che prevale e la cima è formata da più branche raddrizzate. Da giovane la corteccia è liscia e grigia, diventa poi bruna-nerastra e si fessura in solchi longitudinali e sinuosi. I rami sono molto sviluppati e per buon tratto privi di foglie e irregolarmente piegati; i ramuli sono ravvicinati con le foglie riunite alle estremità. Le foglie caduche sono alterne e semplici, con breve picciolo, lunghe da quattro a quindici centimetri, larghe da due a otto; strette alla base, ovate-oblunghe con da cinque a sette lobi arrotondati; il loro colore è verde scuro brillante I sacerdoti Druidi recidevano il vischio con un falcetto d'oro gPvDqd( del leccio è diffìcile da lavorarsi perché duro e compatto, elastico, ma bene si presta per i lavori del carradore, per attrezzi agricoli o parti di macchine soggetti a forti sollecitazioni, come i torchi. Delle querce e delle loro virtù così scriveva il Mattioli: «...Ogni quercia ha virtù costrittiva, e massime quella corteccia che è tra la grossa corteccia e il legno; e così medesimamente quella pellicina sotto il guscio delle ghiande. Dassi la decozione loro nei flussi dissenterici, e stomachali, e allo sputo del sangue. Mettonsi trite ne i pessoli de i luoghi secreti delle donne per ristagnar i lor flussi. Vaglino mangiate à i morsi degli animali velenosi. Tenute le foglie fresche della Quercia sopra la lingua, curano gli ardori allo stomaco. L'acqua piovana, che resta nelle concavità delle querce vecchie, sana lavandosene, la rogna ulcerata...». Per le loro qualità e per la loro maestà le querce erano venerate dagli uomini sino dai primordi della civiltà: erano l'Albero, e le loro foreste più belle dedicate alle divinità e per questo intangibili. Dalle querce, secondo i poeti, erano nati anche degli uomini: Evandro, fondatore della rocca romana, racconta a Enea (Virgilio, Eneide, VIII, 314318) che i primi abitatori del Lazio erano gensque virimi truncis et duro robore nata. Anche le Ninfe e le Driadi, racconta Callimaco, sono nate dalle querce e insieme agli uomini esultano quando la pioggia le ristora. Questa pioggia era impetrata dai sacerdoti etruschi agitando verso il cielo fronde di quercia. Le prime «chiese» La farnia è detta anche albero di Giove e a lui fu consacrata. Era già simulacro di Saturno e la mitologia spiega che al tempo in cui gli uomini si cibavano con la carne dei loro simili, Giove, per far cessare questa crudeltà, indicò a loro la quercia invitandoli a cibarsi di ghiande. Da quel giorno fu dedicata a lui e per le sue ghiande dichiarata albero felice. Tanto erano sacre le foreste delle querce che Tacito racconta che persino i soldati di Cesare, in Gallia, avevano timore ad affrontarne il taglio: credevano che se avessero usate le scuri contro quei sacri tronchi, ne sarebbero uscite lacrime e sangue e i colpi si sarebbero riversati poi contro di loro sul campo di battaglia. Le querce furono anche le prime chiese perché sotto di esse si radunava il popolo per porgere preghiere alle divinità, ma anche a fare diete o assemblee, ad apprendere la sapienza degli anziani. Queste usanze nei Paesi del Nord durarono fin verso la fine del Medioevo. Dalle mie parti, al principio di questo secolo, c'era un luogo denominato Kan schon Oachen (alle belle querce) nella locaità dedicata alla profetessa Ganna. E dalle querce, con un falcetto d'oro, i sacerdoti Druidi recidevano il vischio, seme degli dei, per ornare i tori sacrificali. Quel vischio cheancora oggi si usa donare agli amici all'inizio dell'anno, e viene appeso sull'architrave della porta della casa come propiziatorio, e sotto di questo gli innamon i si scambiano il bacio augurale. Mario Rigoni Sterri

Persone citate: Dassi, Gallia, Ganna, Mario Rigoni, Mattioli

Luoghi citati: Europa, Inghilterra, Italia, Jugoslavia, Lazio