Kirov delitto perfetto firmato Stalin

delittoperfetto firmato Stalin delittoperfetto firmato Stalin /\ OSLO 11 UESTO è un giallo. E' la 11 storia di un delitto quasi 11 perfetto che ha segnato j/J la vicenda del socialismo v e del comunismo e che ha ribaltato il corso degli eventi mondiali. Un delitto che fu ideato da un uomo potente, che potè liquidare, uno dopo l'altro, tutti coloro (o quasi) che, in modo diretto o indiretto, ne sapevano qualcosa. Avvenne 56 anni fa, il 10 dicembre 1934, a Leningrado. L'esecutore materiale - Leonid Nikolaev - fu preso sul fatto. Ma l'assassinio fu solo il prologo di un'interminabile serie di altri delitti, il cui scopo immediato fu quello di cancellare ogni traccia. E il cui scopo lontano fu quello di instaurare un potere d'acciaio, per dominare - e annichilire - decine di milioni di uomini. Un delitto che - come ha scritto Robert Conquest - «è probabilmente unico per quantità di false piste su cui si è cercato di concentrare i sospetti e distrarre l'attenzione» e per la «serie di differenti spiegazioni che ne sono state date, sostenute da false confessioni». La vittima fu Serghei Mironovic Kirov, primo segretario del partito di Leningrado e uno dei massimi dirigenti del partito bolscevico dell'epoca. La sua mone - casuale, per mano di un pazzo, come si è sostenuto, e da molte parti si sostiene ancora; frutto di un complotto organizzato dall'opposizione a Stalin, come si cercò di far credere allora; obiettivo di un disegno il cui ideatore fu lo stesso Stalin, come emerse dopo il XX Congresso - segnò l'inizio del terrore di massa in Unione Sovietica e fu usata per sterminare oppositori veri e presunti di Stalin e delle sue concezioni. Fu - come ancora scrive Conquest - «il momento cruciale che determinò lo sviluppo successivo del sistema sovietico e, quindi, il futuro del mondo». Basterebbe, forse, questa semplice (e impressionante) constatazione per scartare la tesi di un omicidio casuale, realizzato da un solitario. Ma sarebbe una conclusione esclusivamente logica, non ancora suffragata dai dati di fatto. Delle altre due ipotesi, una (il complotto trockista-zinovievianobukhariniano) è già stata smontata: dalle analisi storiche prima e, nel 1987-1988, dalle riabilitazioni ufficiali sovietiche. Rimane l'altra: quella del complotto organizzato da Stalin. Ma, sebbene tutti gl'indizi conducano proprio a essa, la verità non è mai stata trovata, anzi provata. Ed è, anche questo, un indizio importante. Poiché la posta in gioco - dopo oltre cinque decenni dal fatto - resta enorme. Scoprire il mandante dell'assassinio di Kirov permetterebbe di gettare una luce definitiva sullo stalinismo e di dare una risposta agli interrogativi di un'epoca intera, che si spingono fino ai nostri giorni. Tant'è vero che è tuttora in corso una lotta drammatica e sotterranea tra chi cerca la verità e chi disperatamente vuole salvare Stalin. Paradosso, tra i tanti, di questa storia, è che oggi l'unico modo di scagionare il dittatore consiste nel ribadire la versione dell'assassinio individuale. Singolare contrappasso, poiché fu proprio Stalin che eliminò subi¬ to questa tesi, imprimendo alle indagini, fin dal primo giorno successivo all'assassinio, un'altra direzione. Quella del complotto contro di lui. Ma neppure questa è ancora la prova decisiva per stabilire la responsabilità dell'assassinio. Essa conferma semplicemente che Stalin fu un abile carnefice di milioni di sovietici. Niente di meno, ma - giuridicamente parlando - anche niente di più. Insufficiente comunque per convincere coloro che ancora giustificano l'eccidio con la necessità della lotta contro i nemici di classe. Resta dunque l'interrogativo se l'uccisione di Kirov ad opera di uno squilibrato sia stata usata come pretesto per scatenare il terrore, ovvero se essa, niente affatto frutto del caso, fu il primo atto consapevole del terrore. Il nodo cruciale sta in questo dilemma. Per scioglierlo Nikita Krusciov - impegnato in un drammatico duello con gli stalinisti - decise la riapertura dell'inchiesta nel 1956, subito dopo il XX Congresso. Sulla storia di questa commissione d'indagine torneremo nella seconda puntata. Basti dire qui che i suoi lavori si arenarono dopo tre anni di una lotta defatigante contro continui ostacoli frapposti dalla stessa macchina stalinista che finirà per stritolare anche Krusciov. Vennero interrogate oltre 1000 persone, si raccolsero 64 volumi di documenti e testimonianze. La conclusione fu netta: il mandante dell'assassinio di Kirov è Stalin. Sulla base di quell'indagine, in cui un ruolo cruciale fu svolto da Olga Grigorievna Shatunovskaja - appena tornata a Mosca e riabilitata, dopo lunga detenzione in un lager di Kolyma - il Presidium del Comitato Centrale del pcus approvò una risoluzione che decideva di riesaminare tutti i processi degli Anni 30. Non se ne fece nulla. I documenti scomparsi Krusciov scriverà in seguito, nelle memorie: «Ritenni necessario inserire la Shatunovskaja nella Commissione poiché la sapevo incorruttibile e sicuramente fedele al partito». Ma lui stesso fu costretto a disfarsene. Olga Grigorievna si ritirò in pensione e i suoi documenti rimasero chiusi in archivi inaccessibili. Altri trent'anni, e l'arrivo della perestrojka, sono stati necessari per riaprire quei cassetti segreti. Ma sembra che, nel frattempo, molte cose siano sparite, non certo consumate dal tempo. E la nuova commissione («per un'ulteriore indagine sui materiali attinenti alle repressioni degli Anni 30-50»), formata nel 1987 e guidata da Aleksandr Jakovlev, ha incontrato difficoltà non minori della precedente. Altri tre anni sono passati e oggi un'intera squadra di «inquirenti» è stata sguinzagliata sulle pagine compiacenti di molti giornali sovietici per spiegare che Nikolaev «agì da solo», che «non ci fu alcun complotto» e che Olga Grigorievna «non ricorda bene». Olga Shatunovskaja è morta appena qualche settimana fa e non può più difendersi. Ma sembra che i cancellatori di tracce non siano riusciti a elimi¬ nare una delle più importanti: il memorandum conclusivo della commissione, firmato da Nikolaj Shvernik e dalla Shatunovskaja, contenente l'elenco dei documenti fondamentali della seconda inchiesta. Quegli stessi che oggi non risulterebbero più agli atti. La ricerca della verità è ormai una gara contro il tempo biologico. Quasi tutti i protagonisti diretti della vicenda sono morti. Gli unici due ancora vivi non parlano, anche se sanno cose decisive. Sono Lazar Moiseevic Kaganovic, uno degli uomini di Stalin, e Fiodor Timofeevic Fomin, vice capo della Nkvd di Leningrado, il primo che interrogò l'assassino. Eppure, volendo, il mosaico potrebbe ancora essere ricomposto: dai documenti esistenti e dai ricordi dei pochi sopravvissuti. Se gl'inquirenti non avessero fretta di chiudere il caso con un verdetto di non colpevolezza per Stalin, potrebbero ancora trovarne. Noi abbiamo cercato e trovato: un documento inedito che getta luce definitiva sui rapporti tra Stalin e Kirov (ne parleremo nella seconda puntata) e un uomo. Uno degli autisti di Kirov può ancora parlare. Anche se ha paura. Perché Kirov è :aorto, ma Stalin è vivo. [g. e]

Luoghi citati: Leningrado, Mosca, Oslo, Unione Sovietica