I separatisti-pci Occhetto ci risponda

Libertini, Salvato e Serri insistono sulla proposta dei due partiti «autonomi ma federati» Libertini, Salvato e Serri insistono sulla proposta dei due partiti «autonomi ma federati» I separatisti-pci: Occhetto ci risponda «Altrimentipotremmo andarcene» r / cittadini scelgano anche il governo LA CRISI ISTITUZIONALE tori. E così, se da una parte Libertini può esultare per «il pronunciamento a favore della proposta di federazione che viene dal coordinamento provinciale di Torino e da quello regionale toscano», d'altra parte ha sorpreso il distacco col quale il «Manifesto» ha riferito la proposta di Garavini («Non entriamo nel nuovo partito, ma formiamo un'area comunista autonoma che si federa col nuovo pds»). Due giorni fa la sortita di Garavini e l'assemblea di stamane all'Eliseo è stata relegata in un trafiletto a fondo della pagina 8, sormontato da un titolo («Assemblea dei "duri" del pei») che il giorno dopo ha provocato una risentita lettera di protesta da parte dei comitati per la rifondazione comunista. E mentre Occhetto e i suoi perseverano nella strategia del silenzio, sull'ipotesi di scissione dice la sua Emanuele Macaluso, uno dei leader del gruppo riformista. «Un partito che organizzi liberamente le sue aree di opinione non dovrebbe temere diversità di valutazioni, anche se le fratture e i contrasti sono arrivati ad un punto tale che io comincio a dubitare della possibilità di salvaguardare l'unità del partito». pidamente, magari durante il congresso di fondazione del pds di fine gennaio. Un'ipotesi difficile e tuttavia l'idea che gli scissionisti possano rovinare la festa, offuscare in qualche modo il «lancio» del nuovo prodotto pds è proprio quella che più inquieta lo staff del segretario. Questa mattina il drappello degli scissionisti per la prima volta si conterà: sul palcoscenico del teatro Eliseo è in programma un'assemblea organizzata da militanti di base del pei (ex autoconvocati, comitati per la rifondazione) che ha scelto come filo conduttore uno slogan che parla chiaro: «Per un'autonoma presenza comunista in Italia». Oltre ai compagni delle sezioni ci saranno anche i compagni dirigenti, che puntano alla scissione. Li guiderà Armando Cossutta, che in questi giorni è rimasto al coperto, ma che è il titolare morale del «copyright-scissione». Ingrao non ci sarà, Natta neanche e il fronte del No che ha deciso di restare nel pds manderà una delegazione di osservatori, guidati dal senatore Chiarante. Questa mattina, dunque, nello stesso teatro dove 14 anni fa Berlinguer pronunciò uno dei suoi discorsi più famosi, quello sull'austerità, gli scissionisti faranno la prima ricognizione sulle proprie truppe. Oltre a Li- CARO Direttore, il peggior modo per combattere la grave malattia che sta vivendo da tempo il sistema politico-istituzionale in Italia è quello della difesa ad oltranza degli attuali meccanismi fissati nella Costituzione del 1948. I gelosi custodi dello status quo (e tra questi rischia di collocarsi Guido Bodrato con certe preoccupazioni tutt'altro che infondate, espresse su La Stampa del 2 gennaio) sostengono infatti che di fronte ad eventuali pericoli rappresentati da radicali cambiamenti (come potrebbe essere una Repubblica presidenziale) è meglio accontentarsi dell'esistente che, tutto sommato, in questi 40 anni ci ha garantiti attraverso una democrazia rappresentativa fondata sulla centralità del Parlamento. Speculare a questa tesi (e altrettanto negativa) troviamo la proposta che tende a superare il sistema della rappresentanza attraverso i partiti (come sancito dall'articolo 49 della Costituzione) facendo appello alla «sovranità popolare», al «reale autogoverno della comunità», alla «rappresentanza politica autenticamente rappresentativa (?) snella nel suo operare», nascondendo dietro a queste retoriche espressioni una vocazione oggettivamente autoritaria. Non si tratta di trovare un punto di mediazione tra i due sistemi, ma piuttosto di ricercare la soluzione partendo dalle' reali cause che hanno determinato lo scollamento tra istituzioni e cittadini, tra il Paese legale e quello reale. Una riforma seria dell'attuale sistema deve essere caratterizzata da tre fattori che considero fondamentali: chiarezza (trasparenza di tutti gli atti riguardanti la vita pubblica); semplicità (eliminazione di ogni bardatura burocraticalegislativa, quei fenomeni che nel campo urbanistico-edilizio vengono chiamati superfetazioni); concretezza (tempestività e decisione). Senza seguire un ordine di priorità mi provo ad elencare alcuni di questi obiettivi. Non ha più nessuna ragione di esistere un sistema parlamentare fondato sul bicameralismo: si tratta di un doppione inutile e dispendioso: quindi una sola Camera legislativa, ridotta notevolmente nel numero dei suoi componenti (400 sono più che sufficienti) che non possono svolgere altre mansioni se non quella di legiferare e di esercitare il controllo sugli atti del governo. Impegno a tempo pieno con preli senza obbligatoria pena la deI cadenza del mandato. Netta distinzione tra potere legislativo e potere esecutivo: chi fa il deputato non può essere contemporaneamente membro del governo e viceversa. Per l'elezione del Parlamento non può essere eliminato il sistema proporzionale (sia pure corretto attraverso lo strumento dei collegi elettorali onde spazzare via l'infetto meccanismo del voto di preferenza). Nessuna soglia minima per la rappresentanza, e tanto meno premi di maggioranza. Eletto il Parlamento sulla base dei risultati espressione della volontà popolare, si vanno ad individuare le coalizioni per il governo. Quindici giorni di tempo, poi si torna alle urne per votare il governo che si intende scegliere con tanto di nomi indicati: dal premier, ai ministri, ai sottosegretari. Anche qui va ridotto drasticamente il numero dei componenti dell'esecutivo: 20 ministri e 25 viceministri sono sufficienti. Con questo meccanismo il giorno dopo il voto si sa chi ha vinto e chi ha perso, sono eliminati i tempi morti delle lunghe e defatiganti crisi ministeriali e vengono ridotte notevolmente le stesse occasioni di crisi: poiché per legge deve essere sancito che in caso di un voto esplicito di sfiducia da parte del Parlamento nei confronti del governo non si può andare a rimpasti o a ribaltamenti di alleanze. Non rimane che restituire il potere di decisione ai cittadini, attraverso nuove elezioni. Un provvedimento del governo bocciato dal Parlamento non significa crisi, ma una espressione alta della democrazia, di cui l'esecutivo deve tenere conto modificando il suo atto. Per l'elezione del Presidente della Repubblica (con funzione di garante delle istituzioni) non vedo altra soluzione all'infuori del Parlamento al quale andrebbe riconosciuto anche il diritto di revoca con una maggioranza qualifìcatissima (tre quarti dell'assemblea). Infine per garantirci dai fenomeni clientelali e per eliminare il condizionamento dei partiti sugli eletti sarebbe sufficiente introdurre la norma della ineleggibilità dopo due mandati per tutti gli organi elettivi retribuiti: dal Parlamento ai Comuni. Non solo si favorirebbe in questo modo un frequente ricambio della cosiddetta classe politica-istituzionale, ma si introdurrebbe in concreto il concetto della politica come servizio per il bene comune e non come tornaconto personale. Il che non è poco. Emanuele Macaluso dubita sulla possibilità di salvaguardare l'unità del pei una scissione corposa: infatti se andasse in porto l'ipotesi, non smentita, di una fusione con dp, il nuovo pc potrebbe contare, naturalmente prima di eventuali elezioni, su una pattuglia parlamentare rispettabile: 17 senatori (il msi ne ha 16, il pri 9, il psdi 7) e cinque deputati (4 demoproletari e un ex pei, Garavini). Al nucleo di comando del drappello scissionista arrivano comunque segnali contraddit¬ bertini, Salvato e Cossutta, ci saranno tutti gli altri 14 senatori del pei che prima di Natalo hanno firmato un appello per la federazione? I senatori Barca, Bisso, Cascia, Cisbani, Crocetta, Meriggi, Nespolo, Pollini, Scardaoni, Serri, Spetic, Tripodi, Vitali e Volponi, dopo aver firmato sono anche pronti a lasciare il pei? Se così fosse, la separazione dei "duri del pei" potrebbe lievitare e prendere le forme di Fabio Martini elli elli | Diego Novelli elli TORINO CENTRO CAP CAP DM 4/10309 del 28/12/90

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