Shopping a Milano di Maria Grazia Bruzzone

Shopping a Milano Shopping a Milano «Ilfiglio del dittatore cerca armi» ROMA. «Il generale Mashla Siad Barre? E' partito per Milano», rispondono i collaboratori del figlio del presidente somalo, fino a due settimane fa capo delle forze armate, dal 27 dicembre ospite dell'Hotel Hilton di Roma, insieme al generale Ismail Quassim Naiji, suo stretto collaboratore, al generale Mohammed Nurdudi Duhbbi, comandante dell'Aeronautica, al colonnello Abdullahi Abdullaziz, capo dei servizi segreti personali di Barre. A fare cosa, non si può sapere. In fondo al corridoio di sinistra del 6° piano c'è un gran via vai di somali, funzionari, agenti forse, persino studenti e altri personaggi che vanno e vengono da una stanza all'altra, fra letti sfatti e tavole imbandite. Ma nel bunker romano di Barre jr. nessuno è molto loquace. Non dice molto neppure il generale Duhbbi che a Milano non è andato. Anzi, il generale quarantenne, che nei primi Anni Ottanta ha frequentato la scuola di guerra italiana sotto il generale Nardini, nega tutto. «Siamo in Italia di passaggio, veniamo da Abu Dhabi. Per fare shopping», è la sua versione. A Mogadiscio? «Non succede niente. Ho lasciato moglie e due figli e sono tranquillo. Barre è nel suo ufficio a Villa Somalia, non si è mai mosso, non è vero che l'hanno presa i ribelli. L'esercito resta fedele al presidente che voi giornalisti continuate a chiamare dittatore. Chissà perché, lui che ha appena concesso la Costituzione e la libertà di stampa e di manifestazione». Ma qualche mese fa non vennero uccisi una cinquantina di dimostranti del Manifesto dei 114? «La polizia fu costretta a sparare perché saccheggiavano tutto. Quelli sono dei criminali, come i ribelli di oggi. In Somalia opposizioni intelligenti non ce ne sono». C'è la possibilità oggi che qualche governo aiuti i ribelli? «Non posso rispondere». Nemmeno l'Etiopia, tradizionalmente ostile alla Somalia? «In questo momento non c'è crisi fra noi e l'Etiopia». «Shopping in Italia? Forse, ma certo non di cravatte e borsette. Caso mai di armi e di munizioni». Nel quartier generale romano del Congresso dell'unità somala, centrale estera del movimento che ha sferrato l'attacco al presidente Barre, i funzionari politici in esilio sorridono alle dichiarazioni del generale somalo. Sono tutti raccolti intorno all'unico tavolo della minuscola stanzetta dell'appartamento dietro la stazione che alloggia la loro sede, «perché è nostro uso prendere decisioni collegiali», spiegano. Ma a parlare alla fine è soprattutto Abdukhadir Mohammed Abdullah, già professore universitario di geofisica, da 12 anni in esilio. «A noi risulta che i quattro alti ufficiali governativi capeggiati dal figlio del dittatore Barre siano in missione militare. A Abu Dhabi hanno tentato di acquistare dagli emiri 12 elicotteri. Che poi invece sono stati loro venduti dai Sauditi. Gli stessi che a novembre avevano dato a Barre 270 milioni di dollari in cambio del voltafaccia politico nei confronti di Saddam, prima appoggiato dal tiranno». «Di armi e munizioni di un certo tipo, i governativi ne hanno bisogno - spiega Abdullah dopo che già nel maggio scorso le forze del Congresso he ino sbaragliato l'intera 21a div. : jne dell'esercito regolare. E dopo le diserzioni delle ultime settimane». Quanto alle forze dell'Use, la novità annunciata dai funzionari che si tengono in contatto con la Somalia via Addis Abeba e Nairobi è che ieri, dopo l'arrivo dei rinforzi, i combattimenti sono diminuiti perché i ribelli invitavano i civili a sgombrare le case. «I nostri sono andati in giro per le strade spiegando alla gente la necessità di dirigersi verso il fiume per prendere acqua e di andarsene verso le cittadine di Balad e di Afgoi, a una trentina di chilometri verso Nord-Ovest e Nord-Est di Mogadiscio. In auto forse sarebbe pericoloso - aggiunge Abdullah - ma a piedi lungo i cespugli la cosa è fattibile». «Che Barre sia ancora a Villa Somalia, però, è ridicolo. I governativi che sono tutti ammassati intorno all'aeroporto, come hanno rivelato anche i satelliti francesi, lascerebbero solo il loro capo fra i nemici?», chiede incredulo Abdullah. L'evacuazione degli stranieri sarebbe interesse dei guerriglieri. Non solo per i motivi umanitari che ribadiscono, «ma anche per poter intervenire a fondo con i mortai senza paura di ferire i civi;; inermi». Le trattative con la Farnesina per garantire la tregua di fuoco proseguono. «Adesso sembrano più disponibili all'intervento della Croce Rossa che noi avevamo richiesto dal primo momento». Maria Grazia Bruzzone