L'Europa più larga di Lorenzo Mondo

i bloc-notes di Spadolini i bloc-notes di Spadolini L'Europa più larga LI A terza serie di bloc-notes che Giovanni Spadolini raccoglie sotto il titolo Gli anni della svolta —I mondiale si riferisce al periodo l988-'90 (editore Longanesi) e cade bene come un bilancio non pedantesco degli eventi, specialmente quelli del mirabile 1989, che ci premono dietro le spalle. Nel senso che sono destinati a condizionare durevolmente la nostra cronaca e la nostra storia, alla luce di una idea di Europa che, carissima all'autore, sembra essersi disvelata con una forza nuova. Non è soltanto la ramificazione della Germania e il «recupero» delle «marche» orientali dove sono cadute una dopo l'altra le pedine del totalitarismo comunista, ma anche la rivendicazione fatta da Gorbaciov in un incontro romano: non dimenticate che l'Unione Sovietica è sostanzialmente europea, che le popolazioni di Russia, Ucraina e Bielorussia sono slave e rappresentano oltre duecento milioni tra i duecentoottanta complessivi della federazione. Qualunque sia il destino di Gorbaciov, afferma Spadolini, l'Europa non si ferma più alla Vistola: come pretendeva Kissinger nel suo pessimismo di transfuga dal vecchio continente, nella sua concezione bipolare del mondo, riduttiva rispetto all'Europa. E' il filo ideale che unisce buona parte di queste pagine, le quali vivono poi di un respiro proprio e inconfondibile. La presa diretta che è tipica del taccuino di viaggio e serve a registrare incontri spesso memorabili con protagonisti del nostro tempo, è propiziata dall'intelligenza dello storico e, più in generale, dell'umanista. Un dato rivelatore sono le librerie o le biblioteche - di episcopato, di scuola rabbinica, di accademia che Spadolini non si lascia sfuggire. Vi è attratto dalla sua passione di collezionista, ma ancora di più dalla sua disposizione diagnostica, a tastare il polso di una cultura nella sua indistruttibile continuità, nonostante le dolorose lacerazioni e perdite. Spadolini mazziniano ed europeista è infatti affascinato dalla specificità delle tradizioni nazionali, dagli uomini in cui si può cogliere - per bagliori, attraverso i possibili travestimenti e scarti - la traccia di un passato esemplare. E ce ne rende conto con una evidenza rappresentativa che si potrebbe definire, nel suo meglio, iconologica. Prendiamo i capitoli sulla Polonia - i più fitti e compatti del bloc-notes - e vedremo quale gioco di rispondenze sappia orchestrare fra i primattori di quella portentosa vicenda. Ecco il cardinale Glemp, così lontano dall'«imponenza medievale» del suo predecessore Wyszvnski, semplice e dimesso eppure rivestito dalla secolare sapienza diplomatica della Chiesa. Jaruzelski, così aderente - al di là della lunga milizia comunista - al lealismo patriottico del piccolo nobile polacco, alla spericolata dignità dell'ulano (non molto diverso quanto a origini e forma mentale da Pilsudski, il vincitore della cavalleria sovietica sotto le mura di Varsavia). Walesa, il duttile e intransigente apostolo di Solidarnosc, capace di scuotere un regime a suoi) di proverbi e detti contadini. Gcremek infine, lo storico dei poveri, dei mendicanti, di tutti quelli che la nascita della società moderna ha emerginato. -La sociologia polacca - chiosa Spadolini, ed è il suo modo di riassumere epigraficamente un ragionamento, una situazione - ha sempre conosciuto i poveri piuttosto che i proletari. E nei poveri brilla sempre un raggio di Dio». Ma non c'è bisogno di grandi personaggi per far lievitare la scrittura, anzi è spesso nelle storie laterali che Spadolini riesce a catturarci con maggior forza di persuasione. Parlavo prima della disposizione a mettere in luce i segni di una fedeltà, della simpatia per l'originalità di una storia e di una cultura. Bene. Andiamo a leggere il capitolo sui Ragazzi della via Pai, un libro che appartiene anche all'infanzia di tanti italiani: «E' una strada stretta, ombrosa, tutta dominata dal grigio...». Ricordate? Il romanzo si chiudeva con l'annuncio che la speculazione edilizia stava per cancellare il piccolo spazio lasciato libero da un deposito di legname e conteso dalle bande di ragazzi avventurosi. Così è avvenuto, la via Pai è stata assorbita da un quartiere residenziale di Pest. Ma rivisitando la piccola epica stradarla sui luoghi descritti a suo tempo da Molnar, Spadolini si trova a ripercorrere le vie e le piazze in cui si svolse nel 1956 la disperata rivolta ungherese contro le truppe sovietiche. Quasi presagita, cinquantanni prima, in un libro per ragazzi (ma non soltanto per loro), nell'incanto di grida acute che adesso ci fanno trasalire. E l'emozione del lettore nasce nello stesso tempo dalla straordinaria coincidenza fattuale e dalla sapienza compositiva. Le testimonianze sul mondo che cambia non esauriscono tuttavia il libro di Spadolini, dedicato più liberamente, nella seconda metà, a «frammenti di memoria e frammenti di viaggio». Qui si rivela in modo più esplicito una curiosità onnivora e prensile che non accetta di lasciarsi imprigionare dagli specialismi (del politico, dello storico) ed è tipica del giornalistascrittore. Per dirne una, non è tanto la figura di Aldo Moro a sorprenderci in queste pagine (accanto a quelle di La Malfa, Pertini e magari Silone): anche se colpisce, in questi anni di ingenerose e volgari palinodie, la pietas e l'immutato apprezzamento di Spadolini per lo statista assassinato, per la sua superiore capacità di mediazione tra le forze politiche, per il suo severo - per quanto rassegnato senso della storia. Altri temi piuttosto ci sorprendono. 11 ricordo del Montale fiorentino che scatta all'incontro con la toscanità asciutta, con la natura aspra di San Felice a Ema, dove il poeta ligure ha voluto essere seppellito. La visita alla casa di Verga, dove lo scrittore del Mastro don Gesualdo chiude misconosciuto una vita «ripiegata sulla solitudine, ostile a tutti i cinguettii mondani, solcata da una vena di pessimismo da "Ecclesiaste"» (e una clausola come questa è sufficiente a rimettere in movimento, così senza^itrere, i giudizi più scontati sul Verga). Il ritratto affettuoso e riconoscente (mentre ricorrono alla memoria i fremiti dell'infanzia, dell'adolescenza) di Enrico Bemporad, «l'ebreo di Pinocchio», l'editore di Salgari, costretto alla rinuncia da un regime iniquo. Mi sbaglio, o Spadolini è riuscito a scavare nell'insieme della sua opera, con siffatti bloc-notes, un genere che gli è particolarmente congeniale. Si tratta di capitoli brevi, all'interno dei quali procede per ulteriori spezzature, piccole pause d'appoggio che gli consentono di passare da un incontro a un paesaggio, da un libro a una riflessione, (ionie variazioni sul tema segnate da un dettato rapido, evocativo e sentenzioso. E' il tratto distintivo della prosa di Spadolini, della sua dorata maturità. Lorenzo Mondo