La carriera d'un tiranno d'Africa di Domenico Quirico
La carriera d'un tiranno d'Africa La carriera d'un tiranno d'Africa Dalle promesse del golpe al saccheggio del Paese Porgli americani, che lo considerano ormai un alleato impresentabile, è «il macellaio»; i suoi sudditi preferiscono chiamarlo «boccalarga» o «vecchia iena». Crudele, senza scrupoli, abilissimo nel coniugare violenza e corruzione al servizio di un dominio assoluto, Siad Barre che, chiuso nel suo bunker, combatte per sopravvivere, è un modello dei tiranni che hanno strangolato l'Africa. Era salito al potere nel 1969 con un golpe incruento sbandierando i vessilli dell'onestà e della lotta alla corruzione. Questo ex allievo della scuola sottufficiali dei carabinieri (ma nella sua biografia sostiene, barando, di avere i gradi di ufficiale dell'Arma) sembrava percorrere una classica «carriera» africana: il generale che, usando il pugno di ferro, cerca di fronteggiare i vecchi mali del tribalismo e dell'inefficienza. Ma Barre capì subito che il suo Paese, poverissimo, aveva una risorsa preziosa dal momento che Urss e Stati Uniti muovevano anche nel Corno d'Africa le pedine dei loro interminabili wargames: la posizione strategica. Così il genera¬ la capitale, quando la Guardia presidenziale mitragliò la folla provocando un massacro. La repressione serve per nascondere un regime la cui unica ideologia sono le bustarelle, i bakshish: attorno al dittatore sempre sorridente, in pugno una cannetta di malacca in perfetto stile britannico, si muove una sterminata corte di parenti e portaborse affamata di commesse e intrallazzi. Con un'economia in perenne lotta con la carestia l'unica voce da saccheggiare sono gli aiuti internazionali, soprattutto italiani, oltre 1500 miliardi tra l'81 e l'88: e Barre a Roma si è sempre sentito a casa, almeno fino ai massacri dello scorso anno. Assediato da una guerriglia che neanche le armi inviate dall'amico dell'ultima ora, Gheddafi, riescono a fermare, Barre ha tentato l'ultima capriola trasformistica: ha promesso pluralismo, democrazia, elezioni, pronto a puntare sulle divisioni tra i suoi oppositori per superare la crisi ."Ma la carriera del tiranno, forse, è davvero finita. le si scoprì comunista (raccontano che prendesse lezioni accelerate di marxismo-leninismo per non sfigurare con i sovietici), proclamò la Somalia «Repubblica Socialista» e si alleò all'Unione Sovietica. In cambio del «socialismo scientifico», e di consistenti forniture di armi, Barre offrì alla marina di Breznev la base di Berbera, punto chiave per il controllo del Mar Rosso. Con l'aiuto dei consiglieri militari russi sperava di riprendersi la provincia dell'Ogaden, assegnata all'Etiopia, che i somali considerano, con una zona di frontiera col Kenya, «terra irredenta». Ma il Cremlino scoprì che Menghistu, il Negus Rosso salito al potere ad Addis Abeba, era un alleato più promettente e tradì Barre. Il despota somalo, spiazzato, non batté ciglio: diede tre giorni di tempo a migliaia di russi per andarsene e annunciò che in fondo gli «imperialisti» erano buoni alleati, con tanti dollari e soprattutto una buona predisposizione a tacere sui metodi della «democrazia socialista» di Mogadiscio. «Perché si arrivi a una democrazia di tipo europeo occorre che la gente maturi politicamente, prima che io andassi al potere c'erano ottanta partiti, legati alle varie tribù. Si ammazzavano per le strade», ripeteva Barre, con l'aria da vecchio patriarca saggio e tollerante, a chi gli contestava gli orrori del regime dittatoriale. Nell'attesa, a regolare la vita politica del Paese provvedono i famigerati «Berretti rossi», pretoriani al di sopra di ogni legge, e l'onnipotente National Security Service, i servizi segreti, un autentico Stato nello Stato che rispondeva direttamente a Barre. I metodi sono quelli denunciati da Amnesty: bastonature selvagge, celle talmente piccole da costringere i prigionieri a restare sempre in piedi, esecuzioni sommarie. Quando qualche oppositore osava denunciare gli orrori del regime, come Salvatore Colombo vescovo di Mogadiscio, provvedevano ignoti «delinquenti comuni» a chiudergli la bocca; se l'opposizione scendeva in piazza la polizia non esitava a sparare a zero. Perfino una raffica di fischi contro «il padrone» e il suo seguito poteva costare la morte: è successo lo scorso anno nello stadio del¬ Domenico Quirico
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