II presidenzialismo aggrava la malattia

r- r- II presidenzialismo aggrava la malattia LA CRISI ISTITUZIONALE zione dei promotori di qualunque scelta ri 'itica di una certa rilevane. In questo modo si inaspriscono i conflitti sociali e regionali e si sollecitano assai più le spinte regressive che quelle aperte all'innovazione, indebolendo in ogni caso le istituzioni rappresentative. Ma in questo caso concreto, quale quesito si dovrebbe sottoporre al voto? Autorevoli costituzionalisti hanno osservato che le ipotesi di riforma presidenziale sono numerose. Lo stesso Occhetto ha prospettato la elezione diretta del capo del governo, in concorrenza con Craxi ma muovendosi nella stessa direzione. Se si approfondisce questa discussione, cresce l'impressione che abbia poco senso la elezione del Presidente se non si accrescono le sue responsabilità e se non cambia il sistema per la elezione del Parlamento. Lo riconosce Amato quando afferma che la scelta presidenzialista «propone di per sé la formazione di due schieramenti contrapposti». Ma questa riflessione liquida quasi tutta la polemica socialista contro la proposta elettorale della de, ed anche le accuse a De Mita di volere ingessare la vita italiana a favore dei due maggiori partiti. D'altra parte, se si modifica la legge elettorale in modo da favorire coalizioni tra di loro alternative, quale necessità vi è ancora di irrigidire il gioco politico con la elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Capo del governo, se non nella logica di una riduzione degli spazi reali di democrazia? In realtà la crisi della politica, che attraversa tutta la società occidentale, ha cause che poco hanno a che fare con la «forma» dei diversi modelli democratici. L'Italia ha problemi di stabilità del governo, di efficienza della pubblica amministrazione e di alternativa che, per quanto dipende dagli ordinamenti, possono essere risolti favorendo un più ragionevole assetto dei partiti ed un rapporto più trasparente tra il voto dei cittadini e la formazione della maggioranza di governo. Questa è una svolta possibile, che incide sul modo di fare politica, sull'attività del Parlamento e sulla stabilità del governo. Altra cosa, anche se non del tutto separabile, sono le clientele e la lottizzazione dell'amministrazione pubblica, l'abuso del potere e la arbitraria occupazione dello Stato da parte dei partiti. Altra cosa è anche quel muro che ancóra impedisce l'alternativa di governo. La confusione non serve a curare malattie che potrebbero essere anche aggravate da una svolta presidenzialista, che chiama «nuovo» ciò che ricorda semplicemente il passato. CARO direttore, l'on. Craxi ha preannunciato battaglia, in vista della verifica di governo, sulla questione delle riforme istituzionali. Il partito socialista sostiene che la de può dire «no» alla elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma non può porre un veto al referendum propositivo. Anche perché, secondo un sondaggio, gli italiani vogliono l'elezione diretta del capo dello Stato. La questione non è nuova. L'assemblea costituente decise, a grande maggioranza, per la centralità del Parlamento. I nen.'ji della «prima Repubblica» iniziarono subito a polemizzare contro la democrazia dei partiti ed a proporre il regime presidenziale come alternativa a quello nato dalla Resistenza. La democrazia parlamentare si è politicamente caratterizzata, nel clima di «guerra fredda» (che con la vicenda Gladio è tornato all'onore della cronaca) per la «conventio ad escludendum» del pei; ma ha evitato la radicalizzazione della lotta politica, la degenerazione di quello scontro tra massimalismo e reazione, che ancora agitano la coscienza del Paese, ma senza bloccare una crescita che ha aperto l'Italia all'Europa. Quando, negli Anni 70, si è fatto più violento l'attacco alle istituzioni - con il pretesto che una democrazia consociativa stava per aprire le porte al comunismo - questa strategia eversiva ha alzato la bandiera della «seconda Repubblica». Anche in quella difficile stagione, resa più dura dal terrorismo, è però prevalsa la democrazia. Se davvero questa epoca è finita, non è senza importanza considerare quali forze ripropongono oggi quella vecchia formula, per capire dove porta la strada che staremmo per imboccare. Non ignoro le opinioni dei presidenzialisti di tradizione democratica; ma questi sostenitori del voto plebiscitario non possono pretendere che non sollevino qualche preoccupazione anche l'entusiasmo di chi - da destra - rivendica la primogenitura di un'idea che dovrebbe portare alla liquidazione dei partiti democratici; od il consenso ambiguo delle leghe. Non si può negare il contenuto autoritario (o decisionista) dei diversi regimi presidenziali. La riduzione della democrazia rappresentativa che essi comportano si accompagna infanti ad una crescente influenza delle grandi corporazioni, del mondo finanziario, dei padroni dei media e delle stesse burocrazie partitiche che decidono i candidati. Anche l'introduzione, nell'ordinamento costituzionale, del referendum propositivo, ferisce la centralità del Parlamento. Questa possibilità" di consultazione popolare sarebbe infatti a disposi¬ lità" re s ato ito Guido Bodrato ito LA STAMPA Quotidiano fondato nel IN67 Direttore Responsabile Paulo Mieli Condirettore Ezio Mauro Vicedirettori Lorenzo Mondo, Luigi La Spina, Pierangelo Coscia Redattori Capo Centrali Vittorio Sabadin, Roberto Boi lai u Redattori Capo ■ — -Giorgio Calcagno Sorìfitàfi .Cultura Roberto Franchini Edizioni regionali. 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