Lello, il signor Novecento di Masolino D'amico
Lello, il signor Novecento Roma, Arena protagonista dello spettacolo di Cerami e Piovani Lello, il signor Novecento Un secolo da raccontare in musica ROMA. Da quando vado a teatro per riferirne, quindi costretto a un tipo di attenzione diciamo così più cerebrale di prima, gusto in modo particolare i concerti, dove ho il permesso di non stare attento, e dove il mio senso estetico è di manica più larga. Così mi sarei lasciato volentieri cullare, al Valle, dai 100' (60 + 40) di piacevolissime musiche di Nicola Piovani, dirette dall'autore e ammirevolmente suonate da un'orchestra di 12 elementi collocata sul palcoscenico; e lasciando volentieri a Pestelli o a un altro esperto il compito di analizzarne i meriti, mi sarei divertito a riconoscerci dentro echi di questo o quel compositore (Stravinsky! Kurt Weil! Francis Lai! Trovajoli!). Sennonché dette musiche non orano, stavo per dire purtroppo, autosufficienti, bensì accessorie a una narrazione affidata a due voci umane. «Il signor Novecento» insomma si autodefinisce racconto musicale, scritto oltre che dal surricordato compositore, da Vincenzo Cerami, e recitato molto sobriamente - ossia stando spesso al leggìo, come appunto in un oratorio in piena regola, e al massimo cambiandosi due o tre volte d'abito e accennando qualche azione contenuta - da Lello Arena e da Norma Martelli. Il racconto copre, in sette quadri, la vita di un signore battezzato appunto Novecento perché nato il primo giorno del secolo ora in agonia; ma gli autori non vogliono tanto farci ripercorrere per tappe la storia d'Italia (come Montesano sta contemporaneamente facendo al Sistina, per un periodo lungo la metà), quanto evocare liricamente e anche un po' capricciosamente degli stati d'animo epocali. All'inizio il signor Novecento, vecchio, sta cercando una scarpa per andare a una festa, e ritrovandosi carponi come un bambino, ritorna alla sua infanzia, rivive il primo amore, lo scoppio della Grande Guerra. In altri momenti della sua esistenza è alle prese con le leggi demografiche del fascismo, e si sposa; la moglie rimane incinta tardi, sotto i bombardamenti, e la neonata muore di paura. Nell'euforico dopoguerra Novecento si innamora di una disinibita rivoluzionaria, Margherita, ma poi torna all'ovile. Ancora dopo, segue smarrito lo sbarco dell'uomo sulla Luna: «Le nuvole avevano scritto sulla notte: Stanno strappando la Luna dal cielo!»; attraversa il boom e il consumismo con un numero di macchietta da avanspettacolo; infine torna alla realtà odierna della morte imminente, del secolo e sua. I testi a cui queste narrazioni sono affidate sono poetici, e aspirano, direi, a una sorta di zavattinismo aggiornato, contrassegnato da una certa ricerca di virtuosismo verbale, con rime estrose, assonanze, allitterazioni. Non portando avanti veramente una storia, e ripetendo un po' gli stessi espedienti, ben presto sembrano fine a se stessi, e annoiano; inoltre Arena, che è un comico naturale i cui buffi isterismi, sua arma principale, sono qui fuori luogo, ha una sgradevole voce sforzata, oltretutto troppo amplificata dal microfono, e appare singolarmente inadatto a valorizzarli. Molto più a suo agio la Martelli, che però nella situazione è la comprimaria; meglio ancora, grazie al miglior materiale a loro disposizione, Francesca Breschi e Donatella Pandimiglio, due eccellenti cantanti che commentano la narrazione con dei numeri di grande effetto. Nella serata, che a Roma sarà replicata fino al 3 gennaio, la musica trionfa. Il pubblico, che mi è sembrato condividere le mie reazioni, ha cordialmente applaudito. Masolino d'Amico Lello Arena impegnato al Valle con Norma Martelli in «Il signor Novecento» quasi un oratorio su un testo di Cerami e musica di Piovani
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