Guai a chi deride il latino della Chiesa

Guai a chi deride il latino della Chiesa polemica. Il Vaticano difende il suo Dizionario Guai a chi deride il latino della Chiesa w] CITTA' del VATICANO Il latino per la Chiesa è | una lingua viva ed ogni I suo adattamento ai neo*J logismi che si creano non può venire ridotto allo scherzo, alla ricerca della facezia, perché nella lingua paludata di Cicerone si esprime l'essenza della fede e ha voce il mondo da cui ha avuto origine tutta la cultura cristiana. Così il Vaticano, per bocca della Fondazione «Latinitas», risponde ai tentativi di banalizzare il nuovo dizionario latino-italiano che contiene anche parole nuove come «largitio quaestuosa» per «tangenti» e «telehorasis» per «televisione». «La questione della lingua latina è essenziale per la Chiesa», spiega monsignor Giuseppe Del Ton, presidente emerito di «Latinitas», da sempre direttamente coinvolto nella stesura del Dizionario che costituisce la maggior parte del lavoro svolto nei piccoli uffici che la Fondazione occupa dal 30 giugno 1976, data di creazione da parte di Paolo VI, allo scopo di «promuovere» come recitano gli statuti - lo studio della lingua e della letteratura latina e cristiana e anche il loro «uso». Da questo osservatorio la questione della lingua latina non può giammai venire ridotta a scherzo o a dotta quanto sterile disputa di studiosi. «La lingua latina è essenziale» precisa monsignor Del Ton «perché senza il latino la civiltà crolla ed allora dobbiamo imparare a parlarlo oltre che ad insegnarlo». Sul lavoro svolto in questi anni per arrivare al dizionario, Del Ton sorvola per precisare che per lui e la sua équipe «la questione di fondo è l'importanza che noi diamo alla lingua. Per quanto riguarda gli adattamenti e la creazione di nuovi vocaboli questo problema accomuna tutte le lingue e nel lavoro che viene svolto da noi si cerca di adeguare il vocabolario attraverso una laboriosa e paziente opera di ricerca e confronto. E' essenziale avere presente che stiamo compiendo un'opera di civiltà». Per la Chiesa il latino - e il suo uso nella Messa - è legato ai ricordi di una visione preconciliare, contraria al mondo moderno. Non a caso il latino è la lingua dei tradizionalisti di tutto il mondo e bandiera dei seguaci della Fraternità che si ispira al defunto mons. Lefebvre. A questo proposito però il cardinale Antonio Innocenti, presidente della commissione «Ecclesia Dei», che si occupa proprio di dialogare con i lefebvriani e con i tradizionalisti di tutto il mondo, smorza i toni e rilancia la polemica contro chi invece vorrebbe oggi accusare la Chiesa di essere retrograda a causa del suo sostegno al latino. «Il latino è e rimane la lingua ufficiale della Chiesa; lo ribadisce anche il Concilio Vaticano II che però compie un passo in avanti dan- do alla Chiesa la possibilità di traduzione nelle varie lingue volgari. Il latino insomma rimane». Se viene compreso e studiato di meno nella Chiesa che si avvia al Terzo Millennio ciò accade perché «lo studio richiede sacrificio ed oggi è più difficile fare sacrifici» e se i maggiori conoscitori del latino li troviamo tra le file dei tradizionalisti, lefebvriani in testa, «il motivo va cercato nel fatto che in genere si tratta di gente anziana che l'ha studiato, quindi non solo lo capisce ma soprattutto conosce il patrimonio culturale classico». Promuovere il latino per la Chiesa non è un'operazione di ritorno al passato, tutt'altro. Nel 1988, all'indomani dello scisma dei lefebvriani, un saggista di fama come Gillo Dorfles scriveva che il passaggio dalla lingua latina all'italiano nella Messa equivaleva alla perdita di quell'alone magico offerto da una lingua oramai incomprensibile ai più ma proprio per questo affascinante come le cerimonie dei tempi remoti. «L'interpretazione corrente - ribadisce all'opposto e con forza il cardinale Innocenti - è che la Chiesa promuovendo il latino voglia ritornare al passato. Non è affatto vero; la cultura latina è il patrimonio della nostra civiltà, un patrimonio perduto perché, come già diceva Paolo VI, nel mondo di oggi conta solo quello che si ha e si può contare, come il denaro, tralasciando i valori spirituali. Senza il latino l'Occidente e il mondo vanno avanti lo stesso come è già accaduto una volta nella storia quando si è perduto l'uso e l'insegnamento del greco. Il mondo va avanti ma la saggezza di un tempo è quella del filosofo Diogene che di fronte ad Alessandro Magno, l'uomo più potente della sua epoca, lo invita a scostarsi perché gli fa ombra, intendendo con ciò significare che i valori spirituali contano ben di più della gloria mondana». Sandro Berrettoni Gli autori: «Una lingua viva da conoscere e da parlare» A sinistra, monsignor Giuseppe Del Ton Cui A sinistra, monsignor Lefebvre, alfiere del latino nelle funzioni religiose <^4 A sinistra, monsignor Lefebvre, alfiere del latino nelle funzioni religiose

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