Arafat: Israele, non uccidere la speranza

Arafat: Israele, non uccidere la speranza MEDIO ORIENTE L'espulsione dei 415 palestinesi, per il leader dell'Olp, è un atto di guerra, ma la trattativa «deve proseguire» Arafat: Israele, non uccidere la speranza L'appello nell'incontro con Ghali GINEVRA. Il leader dell'Olp, Yasser Arafat, ha chiesto ieri al Segretario generale dell'Onu, Boutros Boutros-Ghali, di esercitare la propria influenza nei confronti del governo israeliano affinché autorizzi il ritorno dei 415 palestinesi espulsi dai territori occupati. «La decisione delle autorità israeliane - ha dichiarato Arafat - è un crimine di guerra, un'operazione di purificazione etnica, una minaccia per il processo di pace tra arabi e israeliani». Arafat non ha voluto chiudere la porta alle trattative e non si è espresso in favore del ritiro della delegazione palestinese dai negoziati di Washington. Ha voluto tuttavia precisare: «E' una questione importante e delicata. Ma sarà difficile riprendere le discussioni, mentre il trasferimento dei palestinesi ha dimostrato il vero volto del governo di Rabin. Noi apriamo la nostre braccia e il nostro cuore alla pace, ma per farla bisogna essere in due». Arafat ha condannato il rapimento e l'uccisione della guardia di frontiera isaeliana da parte del movimento integralista palestinese Hamas: «E' un crimine, ma può un tale atto - ha domandato retoricamente - giustificare la deportazione di oltre 400 persone, senza dare loro la possibilità di difendersi davanti ad un tribunale?». Dal canto suo, il Segretario generale dell'Onu ha annunciato un nuovo tentativo di mediazione da parte dell'inviato speciale delle Nazioni Unite in Medio-Oriente, James Jonah. Questi tenterà di proporre al governo israeliano di rimpatriare i deportati palestinesi, per rinchiuderli se necessario in campi di detenzione e quindi giudicarli in base alla legge israeliana. Un'opzione che molto difficilmente verrà presa in considerazione dal governo israeliano, il quale ha invece proposto a Jonah di far ospitare i palestinesi bloccati da due settimane in Libano da un Paese terzo. Rabin si è detto favorevole a una soluzione di questo genere, ma di fatto nessun Paese ha offerto asilo ai deportati. Boutros-Ghali ha rivelato che fra gli espulsi vi sono anche degli operatori dell'Unwra, l'agenzia dell'Onu che assiste la popolazione dei Territori occupati. E Rabin ha confermato che dieci dei 415 espulsi possono ritornare perché vittime di un errore nella fretta con cui venne eseguito il rastrellamento nei Territori occupati. Dunque da ieri i dieci possono presentarsi a un posto di transito controllato dagli israeliani: saranno lasciati passare. Ma, ha sottolineato Rabin, sei di questi dieci faranno bene a valutare se conviene loro tornare indietro, perché, mentre l'espulsione è stata erogata per due anni, i sei rischiano di finire in prigione per pene più lunghe per una serie di incriminazioni legate all'Intifada. Un occhio di riguardo sarà invece riservato al più giovane dei deportati, Bassam Siouri, un ragazzo di 16 anni di Hebron, che era stato sorpreso a scrivere sui muri: «Sarà riportato a casa sano e salvo», ha detto il primo ministro. Per quanto riguarda il ventilato intervento della Croce Rossa, «Radio Gerusalemme» ha riferito la posizione governativa secondo la quale un convoglio della Croce Rossa potrà partire da Israele solo se a sua volta Beirut si impegnerà ad assicurare l'invio di regolari rifornimenti agli espulsi. L'inviato dell'Onu ieri mattina ha ricevuto in un albergo di Gerusalemme Est anche quattro rappresentanti degli arabi israeliani, che lo hanno sollecitato a premere sul governo perché revochi le espulsioni. Il deputato Abdul Wahab Darawshe tuttavia ha detto ai giornalisti di non aver trovato nel colloquio con Jonah motivi di ottimismo. In serata James Jonah si è spostato da Gerusalemme al Cairo, per colloqui non meglio precisati sulla questione degli espulsi. Frattanto il clima di odio reciproco che si è instaurato tra ebrei ed arabi continua a produrre morte e terrore. Un anziano guardiano notturno in un sobborgo di Tel Aviv ieri ha sparato contro un giovane, uccidendolo, perché gli sembrava che fosse arabo. Due giovani erano arrivati per prelevare la loro auto da un'autorimessa vicina, ed hanno attraversato il parcheggio sul quale il guardiano vigilava. Questi aveva fermato l'auto intimando ai due di uscirne, e poi, siccome non capiva cosa gli stessero rispondendo e giudicando, erroneamente, dalla carnagione che potevano essere arabi, ha sparato. [e. st.] La stretta di mano ieri a Ginevra tra Yasser Arafat e Boutros-Ghali [foto ansa)