Contro Israele ritornano i fantasmi dell'Occidente

Contro Israele ritornano i fantasmi dell'Occidente LA TENTAZIONE ANTISEMITA Contro Israele ritornano i fantasmi dell'Occidente SEMBRA di sognare. Qualche settimana fa gli ebrei italiani venivano accolti in un abbraccio ecumenico dalla sinistra e dal mondo cattolico nella comune lotta contro l'antisemitismo. Un fronte largo e combattivo traeva tutto intiero' spuntò dalle recenti vicende d'intolleranza razziale per domandarsi se la vigilanza contro l'antisemitismo fosse stata negli anni passati abbastanza acuta, abbastanza tesa. Ciascuno, all'interno del suo mondo. La risposta che ognuno si è dato quando ha cercato sgomento dentro la propria storia è stata che negli anni appena trascorsi qualcosa di strano era accaduto nel rapporto con gli ebrei in quel nodo sensibile e cruciale che concerne lo Stato d'Israele. Ovvero, che sia il mondo della sinistra che quello cattolico, a causa della propria vocazione terzomondista e sostanzialmente antagonista rispetto al sentimento filo-occidentale, aveva guardato in questi anni a Israele con occhi almeno in parte obnubilati dall'ideologia. Che troppo si era rimasti legati allo stereotipo dell'ebreo passivo e supino. Cosicché un paradosso piuttosto osceno e concettualmente inaccettabile s'era fatto strada specie negli Anni Ottanta: quello della vittima che si fa carnefice, dell'ebreo, appunto, che si fa nazista. Questo comodo psicologismo ha preso il posto, per tanti anni, di ogni tentativo di comprensione della posizione attiva e anche reattiva, certo, dello Stato d'Israele; ha preso il posto di ogni realistica e anche, se si vuole, severa e legittima discussione sulla sua politica. Fino ad arrivare a dei punti giustificabili solo dall'ansia di por fine a un senso di colpa che l'Occidente non ha mai placato dentro di sé dopo la fine della Seconda guerra mondiale: «Israele s'inebria del vino dei forti... Il suo futuro sarà inevitabilmente scritto con lettere di sangue» (Luigi Firpo); «Israele tenta il genocidio» (il manifesto); «Israele persegue un sogno di strage con una paranoia irreversibile» (Nuova Società); «La soluzione finale è solo rinviata» (Giuseppe Josca, Corriere della Sera), «L'ebreo vede la violenza come giustificazione di Dio» (Baget Bozzo); «Lo stesso metodo, lo stesso linguaggio di cui si erano serviti i governanti nazisti per porre fine alla questione ebraica» (Secolo XIX). Questi sono solo pochissimi passi scelti di articoli usciti in questi anni intorno allo Stato d'Israele. Dopo la guerra del Golfo e oggi, dopo gli episodi europei di antisemitismo, la coscienza italiana aveva faticosamente cominciato a riavvicinare fra di loro i due poli della questione ebraica contemporanea, la dia- spora e Israele, dicendosi semplicemente: abbiamo forse sbagliato, abbiamo mosso un meccanismo che ha portato a sentimenti incontrollabili e incontrollati. Mariella Gramaglia, Rossana Rossanda, Gianni Baget Bozzo, Massimo Salvadori, vari esponenti di partiti della sinistra e del mondo cattolico hanno scritto parole di riflessione. E gli ebrei, ben volentieri, forse troppo volentieri e troppo in fretta hanno accetta- to con generosità di unirsi a manifestazioni piene di giovani con la kefia, dimenticando le uova marce sulle lapidi dei deportati a Roma e tante altre manifestazioni di disprezzo e di vero antisemitismo. Adesso che Israele si trova di nuovo in una certa discutibile •ma, appunto, complessa circostanza, sembra, a leggere la stampa italiana, a sentir quel che si dice in giro, di sognare. Ma quale migliore comprensio¬ ne? Quale riflessione più attenta? Di nuovo si pensa che Rabin rappresenti non tanto un Paese nei guai, non tanto un Paese che forse sbaglia, quanto una psicosi collettiva: quella, appunto, ebraica, checché ci si possa amenamente raccontare. Nessuno cerca di spiegarsi, di spiegare. La condanna è ormai firmata. Rabin è certamente stato poco preveggente nel credere che l'episodio degli integralisti isla¬ mici espulsi sarebbe filato liscio. Così non è stato. La sua scelta tuttavia si spiega con la volontà, dopo una lunga serie di omicidi feroci e nuovi come strategia e come simbolo dell'integralismo islamico, e non condivisi dall'Olp pragmatica dei territori e dell'esterno, di compiere un gesto che permettesse di dare un segnale molto duro. Questo gesto era teso, tuttavia, anche a creare le condizioni per continuare le trat- tative di pace in corso con i palestinesi. Lo scopo degli integralisti di Hamas era appunto quello di disturbare l'andamento delle trattative in modo il più possibile definitivo. Inoltre, Hamas proclama incessantemente non solo la necessità di por fine allo Stato stesso d'Israele, ma predica ai suoi (incontrollabili militanti omicidisuicidi) di colpire lo Stato che odiano infierendogli continue perdite di vite umane. Bisogna anche ricordarsi che l'integralismo islamico viene combattuto in Medio Oriente pressoché da tutti i Paesi arabi in maniera ben più tragica e pesante. L'Algeria, l'Egitto, l'Iraq, per citare tre situazioni completamente diverse ira di loro, fanno annualmente centinaia di morti fucilati, di morti in piazza, di morti in galera. Certo, i regimi di quei Paesi non ce ne mostrano le immagini televisive. E l'Occidente non fiata in difesa di tutti questi uccisi con un'ipocrisia che trova il suo apogeo quando Israele tenta di espellere un gruppo che soffre, sì, al confine, che ha freddo, che si ammala, ma che è pur sempre fatto di gente viva che un giorno tornerà a casa, e che le tv di tutto il mondo riprendono. Perché dimenticare che si tratta anche di un gruppo agguerrito e sanguinario, ribattezzando tout court «palestinesi» quelli che altri palestinesi, fino al giorno avanti maledicevano e soprattutto temevano per i tanti omicidi perpetrati nei loro stessi confronti? Un'ultima parola: quale credibilità il nuovo fronte anti-antisemita può trovare presso gli ebrei se di nuovo i gjornali sono coperti di accuse di crudeltà psicotica a Israele? Quale motivo può esservi in questo se non un'oscura ragione psicologica che è il vero punto da prendere in considerazione se si vuole combattere l'antisemitismo autentico di questi anni, e non quello di una minoranza in camicia nera e svastica d'ordinanza? E' ingiusto non far passare il convoglio della Croce Rossa per un motivo puro e semplice: perché le ragioni umanitarie non necessitano di altre ragioni. Tuttavia gli espulsi sono oggi in territorio libanese; e il fatto che il Libano faccia passare le troupe televisive e i giornalisti e non la Croce Rossa nel silenzio di tutta la stampa del mondo è irritante; tanto quanto è stata irritante per Israele la visita dell'ambasciatore francese all'ospedale dove sono ricoverati gli espulsi per visitare qualcuno che promette di tagliare la gola non solo agli israeliani, ma a tutti quanti gli occidentali. Di fronte a segni di maggiore comprensione del fatto che Israele è l'unico fra tutti i Paesi di cultura occidentale che siede nel mondo islamico, sono certa che anche il governo israeliano sarebbe più malleabile. La ragionevolezza che manca a Israele è lo specchio della mancanza di ragionamento, di pensiero che manca all'Occidente quando di Israele si parla. E' una traslazione dell'irrazionalità che sgorga allorquando si parla di ebrei. Fiamma Nirenstein Nessuno ricorda che Hamas è un gruppo di terroristi Si accusa Rabin perché non accetta il ruolo di vittima La solidarietà con gli ebrei dopo gli attacchi nazisti è durata pochi giorni Alcuni palestinesi liberano dalla neve le tende montate nella terra di nessuno [FORTO ANSA] Il premier israeliano Rabin e, di fianco, uno dei palestinesi espulsi prepara una riserva di acqua potabile FOTO AP]