«Rabin è pronto a trattare con l'Olp» di Aldo Baquis

«Rabin è pronto a trattare con l'Olp» Il governo prepara un colpo a sorpresa e intanto autorizza il rientro di 10 dei 415 deportati «Rabin è pronto a trattare con l'Olp» Ministro a Gerusalemme: i negoziati sono inevitabili TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO E' finita con un nulla di fatto la missione a Gerusalemme di James Jonah, l'emissario del Segretario generale dell'Onu incaricato di cercare con i governi di Israele e Libano una soluzione della crisi innescata il 17 dicembre, con l'espulsione dai Territori di 415 integralisti islamici, ma Israele - secondo voci insistenti - sarebbe disposto ad accettare la diretta partecipazione dell'Olp alle trattative con la delegazione dei Territori sull'istituzione di un provvisorio autogoverno palestinese. Oltre alle dichiarazioni di prammatica (ieri Jonah ha appreso dal leader palestinese Faisal Husseini che l'unica soluzione ipotizzabile è «il rientro immediato e incondizionato» degli espulsi) e un nuovo gesto di forza del governo di Yitzhak Rabin (che, al confine col Libano, ha sbarrato la strada a un convoglio di aiuti umanitari destinati dagli arabi israeliani agli espulsi palestinesi), alcune indicazioni hanno lasciato in¬ travedere una determinazione sia israeliana che palestinese a tenere in vita i negoziati di pace. I tempi, infatti, sarebbero maturi per l'inclusione nelle trattative di Nabil Shaath, un consigliere politico di Yasser Arafat che risiede in Egitto, che non ha mai preso parte ad operazioni di guerriglia contro Israele e che è anche cittadino statunitense. Nell'incontro con Jonah, dieci esponenti dei palestinesi guidati da Husseini (fra cui simpatizzanti del movimento islamico Hamas) hanno accusato Israele di aver violato con le espulsioni in massa il diritto internazionale e hanno respinto qualsiasi ipotesi di compromesso. Nel frattempo, però, fonti ufficiose palestinesi a Gaza hanno indicato a un giornalista della radio militare che la possibilità di un'intesa esiste: almeno la metà degli espulsi hanno affermato - sono solo simpatizzanti dei movimenti islamici, e nessun tribunale israeliano li potrebbe condannare. Se Israele consentisse il loro ritorno, hanno aggiunto le fonti, giustificandolo con ra- gioni umanitarie o legali, la strada sarebbe spianata per una ripresa dei negoziati di pace a Washington, dopo l'insediamento di Bill Clinton. Né è stato questo l'unico «ballon d'essai» di una giornata in cui le stesse autorità militari israeliane hanno riconosciuto per la prima volta che non tutti gli espulsi sono dei sovversivi e che alcuni sono stati vittime di errori di identificazione. L'esercito successivamente ha dichiarato che dieci degli espulsi possono tornare, perché la decisione di espellerli era sbagliata. Fonti palestinesi di Gerusalemme Est hanno detto ieri che è imminente un avvicendamento alla guida della delegazione dei Territori, in cui l'anziano e deluso Haider Abdel Shafi sarebbe sostituito appunto da Shaath. Sarebbe questa, secondo le fonti, la mossa con cui il governo israeliano cercherebbe di superare la sfiducia provocata nei palestinesi dalle espulsioni. Anche in Israele, del resto, si fanno sempre più numerosi gli indizi che il «tabù» dei contatti con l'Olp è sempre più vacillante. In un'intervista al quotidiano «Haaretz», il ministro Yair Zaban (Meretz, sinistra sionista) ha rivelato che «in conversazioni a quattr'occhi» quasi tutti i ministri comprendono che negoziati con l'Olp sono inevitabili. Oltre la metà del governo, dieci ministri in tutto, sono secondo Zaban favorevoli in linea di massima a uno sviluppo del genere, ma alcuni di essi esitano a rendere pubblico questo sentimento per timore di irritare Rabin - che continua a opporsi all'idea - e l'opinione pubblica, con cui i laboristi si erano impegnati, prima delle elezioni, a tenere l'Olp fuori dai negoziati di pace. Non a caso, un quotidiano ha pubblicato ieri, con grande evidenza, una citazione attribuita a Charles de Gaulle: «Ogni leader politico è costretto a tradire la patria o gli elettori. Io preferisco tradire l'elettorato». Anche se dietro le quinte forse qualcosa è in movimento, la cronaca continua a essere pun¬ teggiata da episodi di violenza. A Gaza, ad esempio, attivisti dell'Intifada hanno aperto il fuoco contro un veicolo militare israeliano, ferendo un ufficiale dell'esercito che era a bor| do. Sempre a Gaza, dieci palei stinesi sono rimasti feriti mentre nel campo profughi di Jabalya l'esercito disperdeva una manifestazione nazionalista. Nell'attendamento di Marj ez Zuhur, nel Libano meridionale, i 415 attivisti islamici hanno osservato ieri una giornata di digiuno, in attesa di conoscere gli sviluppi sia di un'iniziativa diplomatica a loro favore del ministro degli Esteri francese Roland Dumas, sia della visita di James Jonah. Quest'ultima non potrà avere luogo, perché Israele e Libano gli hanno vietato di varcare i propri posti di blocco nella zona. Aldo Baquis Respinto al confine un convoglio di aiuti per i profughi