La grande crisi ammazza il pigolo kopeko di Domenico Quirico

La grande crisi ammazza il pigolo kopeko RUSSIA La zecca non lo conia più. Comincia la corsa all'accaparramento: serve ancora per telefonare La grande crisi ammazza il pigolo kopeko Ha attraversato indenne la storia da Ivan il Terribile a Stalin Armata Rossa, Bolscevismo, Breznev, Comintern... Alla lettera K c'è una nuova voce nell'alfabeto della Russia perduta, immenso bric-à-brac delle piccole cose di cattivo gusto di un mito rimasto senz'anima e senza soldi. Niente di ingombrante, soltanto un circolino di rame leggero come una piuma con le stigmate, che sanno già di amarcord, del vecchio impero rosso: falce, martello, spighe di grano di una ubertosa ricchezza agreste che nessuno ha mai visto, la stella e quelle quattro lettere Cccp che hanno ingombrato settantanni di storia del mondo. E' il kopeko, da pronunciare con una bella «i» sonora, che dopo mezzo millennio di servizio è uscito per sempre dai coni della zecca di Mosca. Oggi sotto le mura del Cremlino è di moda il dollaro, con la austera monetina destinata all'uomo nuovo non si poteva nemmeno comprare una scatola di cerini. Il kopeko ha resistito a tutto, alle follie monetarie degli zar e al furore egualitario dei bolscevichi, al crollo dei Romanov e alla nemesi dei loro assassini. Era una di quelle geologiche stratificazioni della Russia eterna, come le matrjoske e le sbornie di grappa cattiva: il «copicco» che stava nella scarsella di viaggiatori scettici e curiosi come Algarotti e Coustine, o nelle tasche dei pellegrini della Rivoluzione che all'Hotel Mosca aspettavano ì passi sonori delle ronde di Stalin. Il padre dei popoli, proprio lui, aveva tolto dalle monete, onnai troppo piccole, la scritta pomposa: «proletari di tutto il mondo unitevi» Per anni i moscoviti hanno misurato la salute della economia comunista sui cinque kopeki con cui si guadagnava l'accesso al lustro fulgore della metropolitana, frontiera tra la normalità dei poveri e il caos. Eppure quando è nato, nel 1530, impreziosito da una imma¬ gine possente dello zar con la lancia («kopek»), era una nobile moneta di argento, ricca e ambiziosa come il nuovo Stato che lo zar Ivan aveva strappato a morsi sanguinosi ai tartari infedeli. Forse troppo, per un Paese dove il dispotismo è sempre stato un guazzabuglio di efficienza e di pigrizia. Nel Settecento il grande Pietro aveva fretta di diventare potente come i suoi cugini d'Europa, anche se l'autocrazia era solo la maschera della gracilità. Allo zar piacevano i giochetti monetari di Law, lo scozzese che con un pugno di carta prometteva di far diventare ricche le nazioni. Intanto si poteva sembrare meno poveri sostituendo nel kopeko il rame con l'argento e tagliandolo, conio dopo conio come si tagliavano le barbe dei boiardi. Ma il rischio più grosso il kopeko lo ha corso nei giorni in cui veniva brandito il rastrello infuocato della Rivoluzione. «La nostra società sarà un'enorme associazione di lavoratori, che crea e distribuisce senza oro e carta moneta»; «nella società comunista tutti i prodotti saranno così abbondanti che ognuno potrà prendere cosa gli occorre»: tuonavano sulla prospettiva Nevskij gli aedi del mondo nuovo. Utopie, intanto la gente con le vecchie monetine immiserite a una lega di rame e di zinco in tasca scivolava nelle code sognando le poche miserie di una vecchia povertà. Come Raskòlnikov che aveva iniziato il suo viaggio nel sottosuolo dell'orrore per quei dieci kopeki che la vecchia strozzina gli aveva chiesto come interesse su ogni rublo. Adesso gli speculatori fanno razzia delle monetine ancora in circolazione rivendendole a dieci rubli perché sono le uniche utilizzabili nei telefoni pubblici. Il sogno è davvero finito. Domenico Quirico

Persone citate: Algarotti, Breznev, Romanov, Stalin, Stalin Armata Rossa

Luoghi citati: Europa, Mosca, Russia