A Mogadiscio è di nuovo battaglia

A Mogadiscio è di nuovo battaglia La ripresa degli scontri nel giorno in cui l'inviato di Bush annuncia controlli più severi A Mogadiscio è di nuovo battaglia Le bande in azione, sparatoria all'ambasciata Usa MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO «Restore Hope», atto secondo. L'operazione salvezza comincia ad affrontare il problema della sicurezza, proprio nel giorno in cui nella capitale si riaccendono gli scontri tra le fazioni. In un Paese dove tutti sono armati, dai bambini agli adulti, «bisogna rieducare la gente ad andare in giro disarmata», ha detto ieri l'ambasciatore statunitense Robert Oakley durante una conferenza stampa in cui ha illustrato le varie fasi dell'operazione e delineato i successivi sviluppi di questa grande impresa umanitaria, che vede decine di migliaia di militari di vari Paesi, dagli Stati Uniti al Belgio, dal Canada alla Francia, dall'Egitto all'Italia, impegnati per aiutare un intero popolo che sta morendo di fame. L'inviato di Washington ha precisato che d'ora in avanti i controlli saranno molto più severi, sia a Mogadiscio, dove verranno estesi in tutti i quartieri della città, specie in quelli di Hamar, la parte vecchia, ricettacolo delle bande di ladri e rapinatori, sia nelle regioni agricole dell'interno, dove i villaggi sono ancora oggetto di attacchi da parte di bande di armati che saccheggiano e violentano. Il disarmo della popolazione è uno dei punti principali dell'accordo firmato 1*11 dicembre scorso dai due «signori della guerra», il generale Aidid e il presidente Mahdi, che si erano impegnati a realizzarlo al più presto. Ma tutti i loro appelli perché le armi venissero consegnate hanno avuto sinora scarso successo. Soltanto qualche decina di «tecniche» e poche centinaia di armi leggere sono state portate spontaneamente nei centri di raccolta da parte di ex militari ed ex poliziotti, attratti dalla promessa che in tal modo sarebbero stati selezionati ed arruolati nella nuova forza di polizia. A Baidoa, controllata dai para francesi, questa nuova polizia è già al lavoro e sta provvedendo alla confisca delle armi: una commissione che raggruppa i rappresentanti delle varie tribù e un'certo numero di donne, in rappresentanza dei movimenti sorti per la difesa dei diritti della donna, sta preparando un progetto per riportare la città ad un sistema di vita normale, con la riapertura delle scuole, la rimozione delle macerie, la pulizia delle strade, la ripresa delle piccole attività commerciali ed artigianali. Sabato, Aidid e Mahdi si sono di nuovo incontrati nella residenza di Oakley: il colloquio si è protratto per oltre cinque ore e i due «signori della guerra» hanno raggiunto un accordo per procedere senza perdere altro tempo al disarmo, ritenendo entrambi che questo è il primo, essenziale passo nel cammino verso la normalizzazione del Paese. Ma poiché nessuno dei due è in grado di garantire la riuscita dell'operazione, gli americani hanno deciso di intervenire, sia pure con molta prudenza per non provocare incidenti e suscitare reazioni da parte della gente. Di fatto, i marines si limiteranno, almeno all'inizio, a disarmare tutte le «tecniche», portando via le mitragliatrici di grosso calibro, i cannoncini, i lanciarazzi di cui sono dotate, ma senza confiscare le vetture. Non verranno neppure sequestrate, per ora, le armi individuali, a meno che «non costituiscano una minaccia», anche perché tutti i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, gli stranieri, i giornalisti, sono costretti per la loro sicurezza a girare con scorte annate. Al termine del loro lungo incontro, il generale Aidid e il presidente Mahdi hanno redatto un documento in quattro punti che prevede la soluzione pacifica e secondo la tradizione locale dei conflitti fra i tre clan maggioritari della Somalia, Habar Gedir, Abgal e Murosade, per stabilire la proprietà delle case e dei beni non distrutti dalla guerra civile; la soluzione politica di tutte le dispute territoriali; la cessazione immediata di ogni conflitto all'interno di Mogadiscio e in tutte le zone dove sono ancora in corso degli scontri armati. Ma il punto più importante è quello che sancisce l'abolizione dei confini artificiali che dividono in due la capitale: per questo oggi i due «signori della guerra» parteciperanno a una grande dimostrazione pacifica che si concluderà proprio sulla «linea verde» che separa i quartieri meridionali di Mogadiscio, controllati dai miliziani di Aidid, da quelli settentrionali, presidiati dagli uomini di Mahdi. Ieri mattina una delegazione del generale ed una del Presidente ad interim si sono incontrate nella residenza di Oakley per mettere a punto il programma di questa manifestazione che dovrebbe concludersi con la riunificazione della città, garantendo il libero passaggio degli abitanti da una parte all'altra e la rimozione dei posti di blocco che sbarrano la maggior parte delle strade. Proprio mentre le due delegazioni si incontravano per definire tutti i dettagli di questa operazione, sulla grande circonvallazione 21 ottobre, Habar Gedir e Murosade si sono affrontati a raffiche di mitraglia e fucilate. Una sparatoria intensa, nella quale sono incappato mentre mi dirigevo verso i quartieri settentrionali di Mogadiscio. L'autista è stato bra¬ vo nell'invertire rapidamente la marcia, mentre i due uomini della scorta sparavano qualche colpo di mitra verso una casa semidiroccata da cui erano stati esplosi dei colpi contro la nostra vettura. Verso sera gli scontri sono ripresi con violenza mentre nella zona affluiscono gruppi di armati e donne e bambini si allontanano con le loro povere masserizie per sottrarsi al rischio di una battaglia. Da oggi, forse, episodi simili non dovrebbero più ripetersi, ma è difficile fare previsioni in una città dove ad ogni passo si incontrano gruppi di armati e i ragazzini giocano fra loro col Kalashnikov appeso alla spalla e le bombe a mano in tasca. Ieri davanti all'ambasciata americana c'è stata una grande dimostrazione dei camionisti somali per protestare contro l'impiego di autocarri e autisti etiopici per il trasporto dei viveri e dei medicinali all'interno del Paese. Sono 200 gli automezzi fatti venire dall'Etiopia dai responsabili del World Food Program: la presenza di questa manodopera straniera in un Paese dove impera la disoccupazione ha provocato violente reazioni di protesta. Ci sono stati tafferugli, sono stati sparati colpi di fucile, un uomo è rimasto gravemente ferito proprio davanti ai cancelli della legazione statunitense, presidiata da 200 marines in assetto di guerra. La tensione è ancora alta a Mogadiscio. Francesco Fornati V'-:'*|:| I generale Aidid I marines raccolgono le armi consegnate dai somali [FOTO REUTERJ

Persone citate: Aidid, Aidid I, Bush, Oakley, Robert Oakley