Cantù ha fatto un altro miracolo

Cantù ha fatto un altro miracolo BASKET Il giovane coach Frates e l'ambiente da college Usa i segreti del club brianzolo Cantù ha fatto un altro miracolo Clear 2amalgrado un americano preso ai saldi Il campionato di basket, nel turno feriale di mercoledì scorso e in attesa di iniziare martedì prossimo il girone di ritorno, ha riproposto l'ultimo miracolo di Cantù. Nessuno alla vigilia del torneo avrebbe pronosticato la Clear seconda in classifica al giro di boa del campionato. Invece i brianzoli confermano di aver superato il dopo Marzorati, insediandosi addirittura dietro la capolista Bologna. «Ma loro sono una corazzata, noi un peschereccio» si affretta a precisare il tecnico canturino Fabrizio Frates, 33 anni come il suo collegarivale Ettore Messina, coach della Knorr e neocitì azzurro. Ancora una volta «siur» Aldo Allievi, padre padrone della Pallacanestro Cantù, ha avuto ragione. Nessuna follia economica, scelte oculate, una società improntata sui giovani che si ispira al modello dei college americani: questi gli ingredienti di un menù assortito con grande arguzia dallo chef Frates, milanese di nascita ma trapiantato in Brian¬ za per amore del basket. Come tecnico è nato nella Pallacanestro Milano, dove vinse due titoli italiani con le formazioni giovanili prima di accettare l'offerta della società canturina, che 8 anni fa gli affidò il vivaio. Poi, nell'89, U salto a primo allenatore, favorito dal rifiuto in extremis del santone Mirko Novosel. «Qui si lavora in un clima ideale - dice Frates -. La società non mette fretta, è vicina ai ragazzi ma senza paternalismi. Si è creato un gruppo affiatato ed equilibrato. E poi siamo stati fortunati». Non c'entra però la buona sorte nella scelta di un americano come Pace Mannion, dall'89 a Cantù e fra i cannonieri della stagione in corso. Aggiunge Frates: «Mannion è un cecchino, ma raramente segna più di 20- 25 punti a partita. Una caratteristica della nostra squadra è riuscire ad andare a canestro con più giocatori». Curiosa è la storia dell'altro statunitense Adrian Caldwell, 26 anni e 205 cm di muscoli. Per la sua potenza fisica, durante l'università ebbe quattro offerte da club di football americano, ma preferì il basket. La Clear l'ha prelevato un anno e mezzo fa dalla Nba, dove Caldwell aveva disputato due campionati con gli Houston Rockets. Ma nella scorsa stagione il pivot statunitense è stato molto discontinuo. «Ho passato l'estate alla ricerca di un centro più tecnico e meno difficile da inserire nel gruppo», ammette Frates. Ma il mercato degli States non offriva granché, mentre lo stesso Caldwell - caso più unico che raro - riproponeva la propria candidatura per un ingaggio inferiore all'anno precedente. Come rifiutare? E infatti il saggio «siur» Aido non ci ha pensato due volte, confermando senza esitazioni Caldwell. «Adrian ci crea ancora qualche problema - continua Frates ma intanto la squadra è cresciuta. Bosa resta il fulcro malgrado gli infortuni degli ultimi due anni. Intanto Rossini, Tonut e Gianolla sono cresciuti. Giochiamo insieme da due anni e finalmente sappiamo che cosa possiamo fare e soprattutto ciò che non dobbiamo nemmeno tentare. Le nostre armi sono aggressività, velocità e difesa, proprio come la Knorr rispetto alla quale siamo forse più estrosi anche se meno potenti. Ma l'idea di raggiungere Bologna al comando non mi sfiora nemmeno. Piuttosto mi guardo alle spalle, dove molte squadre sono tecnicamente più forti di noi». E cita come esempio Treviso, che «paga l'assenza di un vero playmaker», e Milano, «tradita da Pessina e Djordjevic». Ma intanto pensa alla Robe di Kappa, alla quale deve far visita martedì nel 1° turno di ritorno. «Torino come noi privilegia i giovani - conclude Frates - ma farlo in una metropoli è anche più difficile. Ogni anno presenta una nuova promessa, facendo il passo secondo la gamba. Una virtù preziosa di questi tempi». Giorgio Vìberti

Luoghi citati: Bologna, Cantù, Milano, Torino, Treviso, Usa