Morto Peyo, scanzonato papà dei Puffi di Fabio Galvano

Morto Peyo, scanzonato papà dei Puffi Il disegnatore belga fu protagonista di un successo commerciale tradotto in 22 lingue Morto Peyo, scanzonato papà dei Puffi Isuoi omini blu dal Medioevo alla critica del capitalismo BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE I puffi sono in lutto. Giovedì, a Bruxelles, è morto il loro papà: Peyo, nome d'arte di Pierre Culliford, aveva 64 anni. Fino a pochi giorni prima aveva lavorato nel suo laboratorio di Genval, a un tiro di schioppo dal celebre lago e dal chateau finto medievale che gli era anche servito d'ispirazione per taluni fumetti. Due settimane fa - proprio in tempo per le feste di Natale aveva tenuto a battesimo il suo ultimo album, Il puffo finanziere, sedicesimo della fortunata serie, in cui gli omini blu scoprono il capitalismo, lo assaggiano e lo ripudiano. Tradotti in venti lingue, i puffi sono smurfs in inglese, schlumpfe in tedesco, strunf in portoghese, torpilek in ungherese, pitufo in spagnolo, suma- fu in giapponese, smolf in norvegese e dardassim in ebraico. Ma per Peyo e per i suoi ammiratori erano rimasti, essenzialmente, gli schtroumpfs originali, figli di un linguaggio inven¬ tato lì per lì («Passami lo schtroumpf», Peyo disse casualmente a tavola, per chiedere il sale a un commensale) e cittadini di un villaggio di folletti creato senza grandi intenti, a margine di un altro fumetto. Era il 1958 e, in una trama dedicata a un Medio Evo immaginario, c'era spazio per un popolo di folletti che spiegassero la provenienza di un flauto magico a quelli che erano allora - e che sono rimasti fino alla fine gli eroi preferiti di Peyo: Johan e Pirlouit. Era l'inizio di un successo colossale. Quello squarcio d'umanità in scala ridotta, una tavolozza che nei colori della fantasia rifletteva pregi e debolezze del nostro mondo, sarebbe cre¬ sciuto a dismisura, attraverso oltre trecento omuncoli azzurri impegnati sotto la guida del Grande Puffo in una lotta perenne contro Gargamella, il mago cattivo. E con i fumetti i cartoni animati, poi - dal 1975 - il primo lungometraggio. Ma l'esplosione porta la data del 1981, con i puffi vedettes internazionali grazie ai cartoni animati di Hanna e Barbera lanciati dai grandi network americani, punto di partenza di un numero inverosimile di declinazioni nell'ambito di un concetto commerciale che Peyo - figlio di un agente di cambio inglese ma totalmente estraneo al mondo degli affari - avrebbe preferito affidare ad altri: alla figlia Veronica, che s'occupa del merchandi¬ sing, e al figlio Thierry, che dirige il dipartimento creativo. «Devo confessare - disse un giorno, durante la guerra del Golfo - che è stato difficile digerire l'immagine televisiva di un puffo su un carro armato americano». Ma alla macchina commerciale che aveva travolto le sue creature, in realtà, s'era già arreso da tempo. Oltre duemila prodotti sono stati «puffizzati»; senza parlare delle figurine di plastica, già vendute in 400 milioni di esemplari. Peyo (anche il nome nacque per caso, lo chiamava così un cuginetto inglese che non sapeva pronunciare Fierrot) era un predestinato, con la vocazione dell'immagine. Già durante la guerra, infatti, si guadagnava da vi¬ vere come operatore in un cinema di quartiere, poi si dedicò al disegno pubblicitario. Al fumetto arrivò quasi per caso. Lavorando come coloritore in uno studio che produceva cartoni animati, conobbe alcuni fra i maggiori nomi di quella che il Belgio - nel solco di Hergé e del suo Tintin - rivendica come un'arte nazionale. I suoi primi personaggi - Johan nel 1946, il gatto Poussy nel 1950, il forzuto Benoit Brisefer nel 1960 - hanno sempre avuto un successo immediato. Far sognare era un imperativo, per lui. «L'importante - diceva - è saper vivere in un piccolo universo tutto inventato». Fabio Galvano siano seriamente minacciati. Queste brevi osservazioni servono a rendersi conto realistica- razvanglio f Fiato agli ottoni: la carriera dei puffi è stata subito un trionfo. A destra, Pierre Culliford, in arte Peyo: «L'importante è inventare il mondo»

Persone citate: Benoit, Pierre Culliford

Luoghi citati: Belgio, Bruxelles