Somalia, scatta l'ora della Folgore

Somalia, scatta l'ora della Folgore Il primo convoglio difeso dagli italiani parte per Gialalassi, nella zona del clan di Ali Mahdi Somalia, scatta l'ora della Folgore Per ora l'Occidente ha solo dispiegato i suoi mezzi bellici «Sicurezza innanzitutto» e i viveri restano nei depositi MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO «Siamo tutti peccatori perché non abbiamo gridato abbastanza in tempo per la soluzione dei tragici problemi della Somalia. Voi siete militari, però qui non è necessaria la pax armata, italiana o americana che sia. Ci serve solo la pace natalizia». Padre Elio Sommavilla, da quindici anni nel Corno d'Africa, recita l'omelia a bassa voce dinanzi allo stato maggiore del contingente italiano, nella palazzina che ospita il comando interforze. Gli ufficiali, con in prima fila il gen. Gian Piero Rossi, seguono le parole in piedi, a capo chino. Dalle finestre aperte giunge ogni tanto l'eco metallica del crepitìo di qualche raffica di mitragliatrice, ma ormai nessuno ci fa più caso. Sarebbe inutile, perché quei colpi sporadici sono diventati la quotidianità monotona e ripetitiva di una Mogadiscio che stenta a riconoscersi, come se rispecchiasse le immagini di un assurdo lungometraggio composto da sequenze rigorosamente identiche. Da una parte c'è lo spettacolo avveniristico offerto dalle potenze militari accorse da ogni parte del globo che sciorinano per le sue strade dissestate colonne interminabili di mezzi ultrasofisticati, con a bordo soldati ipervitaminizzati e dall'altra, in stridente contrasto, l'angoscia degli straccioni, dei poveracci, dei profughi confluiti nella capitale dalle regioni devastate dalla guerra, che vedono sfilare il top della produzione bellica mondiale senza riuscire a scorgere, tra lo sferragliare dei cingolati, ciò che tutti qui si attendono dà due anni. Il cibo promesso dalla solidarietà internazionale, qualunque esso sia, per colmare le pance vuote, per riempire i buchi scavati dalla fame. Quel cibo rimarrà invece nei magazzini guardati a vista da sentinelle Usa, belghe, francesi, saudite, egiziane e del Botswana finché la possente macchina dei soccorsi sarà in grado di mettersi in moto al fine di assicurare la distribuzione capillare degli aiuti sinora rivelatasi piuttosto simbolica. Ricca, sì, di interventi-tampone, ma ancora di scarsa efficacia per la massa dei diseredati. La sicurezza innanzitutto, dicono i militari, ed intanto le ore scorrono implacabili mentre la gente continua a crepare. E così anche il Natale dei soldati italiani in Somalia è stato un giorno qualsiasi. Di preparazione logistica, di pianificazione organizzativa, di addestramento, per allestire il convoglio che domani finalmente scorterà verso Gialalassi il primo intervento umanitario diretto verso la zona. In tutto, 25 quintali di viveri raccolti dalla «Save the Children» inglese. Ieri è stata costituita una testa di ponte a Balad, al ventesimo chilometro della strada che da Mogadiscio si snoda in direzione del confine etiopico. Un percorso di quasi 200 chilometri che si teme minato in diversi tratti. «Bisognerà procedere con la massima cautela», spiega il gen. Bruno Loi, comandante della «Folgore», che guiderà la spedizione. «Staremo con gli occhi aperti, ma sappiamo che la popolazione della zona non ci è ostile, i clan armati sono controllati dalla fazione di Ali Mahdi che vuol bene agli italiani e questo è già molto nella polveriera di questo Paese». Natale quindi da basso profilo, niente rancio speciale, la disperata situazione alimentare dei somali non può consentire tavolate imbandite, panettoni, spumante ed ammazzacaffè, sarebbe un'offesa imperdonabile. Come ieri, e come domani, soltanto razioni kappa (pasta e fagioli, scatoletta di carne, biscotti, cioccolata, una bottiglietta di acqua minerale) per i paracadutisti della «Folgore», per i lagunari della «San Marco», per gli avieri del Soccorso aereo, per gli incursori della Marina. A mezzogiorno, sotto un capannone arroventato dal sole, il cappellano don Alessandro Negroni ha celebrato la Messa in italiano ed inglese, in omaggio ai molti yankee mescolati ai nostri soldati, da un altare di fortuna allestito nel cassone di un camioncino Iveco dell'Esercito. Tocca al ten. Umberto Albarosa, di Aosta, della V Compagnia «Silenziosi ed aggressivi» di recitare la preghiera del corpo: «Siam orgogliosi del nostro passato e degni del nostro avvenire». Gli uomini si mettono in coda per ricevere la Comunione, a fianco del sottotenente Fausto Bagnaia, di Viterbo, c'è il caporale dei marines Alan Powell con il fucile «M16» in spalla. «Non dimenticherò mai questo momento di commozione, io negro di Harlem che ringrazio il Signore accanto a un fratello italiano». Scambiamo gli auguri con i soldati, vedo due ufficiali che si abbracciano. Sono padre e figlio, il magg. Maurizio Braghieri ed il tenente Massimo, entrambi di Piacenza. Risuona un comando: «Seconda compagnia, primo plotone, trenta flessioni e guai a chi fa il furbo». Più in là il capitano Nicola Zanella, di Reggio Emilia, sta già strapazzando gli uomini di leva. Ripetono fino alla noia la tecnica del mattone usata dalle truppe inglesi nell'Ulster, che serve all'occupazione di un centro abitato per pattuglie composte da quattro uomini. Due fermi in copertura, due in cauta avanzata, distaccati di cinque secondi. «Avanti, imbecilli, non state fermi altrimenti vi stendono come tordi». Altro che Natale. E' una delle tante piccola lezioni di umiltà impartite dall'operazione «Ridare speranza», dall'immane tragedia somala. Piero de Garzarolli Natale senza feste per i nostri soldati «Avremmo offeso chi soffre la fame» Finita la Messa si torna a provare i le tecniche inglesi anti guerriglia i Un bambino somalo denutrito e una madre col suo piccolo sulla strada per Barderà A fianco soldati italiani a Natale nel porto di Mogadiscio [foto apj