Messaggio da Saddam Bill, voltiamo pagina

Messaggio da Saddam Bill, voltiamo pagina IL LEADER IRACHENO DAL BUNKER Messaggio da Saddam Bill, voltiamo pagina IL quotidiano turco «Milliyet Daily» è riuscito a intervistare Saddam Hussein nel palazzo presidenziale di Baghdad. A rivolgere le domande al dittatore iracheno sono stati Bùlent Ecevit, l'ex primo ministro socialdemocratico di Turchia (al potere al tempo dell'invasione di Cipro, poi rovesciato dal golpe del generale Evren) e il direttore dell'ufficio di Ankara del quotidiano, Derya Sazak. L'incontro è stato il terzo di una serie cominciata durante la guerra del Golfo e proseguita poco dopo la fine del conflitto. L'intervista si è incentrata sui possibili rapporti col nuovo Presidente degli Stati Uniti e sugli sviluppi nel Nord dell'Iraq controllato dai curdi, protetti a distanza dalla forza multinazionale basata in Turchia. Eccone alcuni estratti. In America il suo grande nemico Bush sta per passare la mano a Clinton. Prevede che cambierà qualcosa nei rapporti fra i vostri due Paesi? «Gli Stati Uniti sono un grosso Paese. E' del tutto normale che abbiano un'influenza sulla politica mondiale. Ma quest'influnza dovrebbe basarsi sull'interesse comune e sul dialogo. Se gli Usa non seguono politiche aggressive, noi accettiamo la loro influenza sulla politica mondiale. L'elezione di Clinton è dovuta all'attesa che cambi in meglio l'economia. Bush - come tutti hanno sentito dai suoi slogan - ha sempre messo l'accento sulla supremazia americana nel mondo. E ha fatto affidamento sul potere militare. Si era stabilito un legame fra le sue prospettive di vittoria alle urne e la sua politica verso l'Iraq». Che cosa intende dire? «In poche parole, era previsto che una volta vinte le elezioni l'Iraq sarebbe stato diviso e la leadership irachena distrutta. Sì, questo è stato un grande errore di parte di Bush. Si sa che gli Usa sono un grosso Stato e hanno interessi in tutti i Paesi del mondo. Non neghiamo che possano stabilire legami col mondo intero, su basi legittime e fondando tali relazioni sui princìpi della Carta delle Nazioni Unite. Noi ci basavamo su tali princìpi prima di essere attaccati. E anche adesso siamo pronti a instaurare questo tipo di relazioni amichevoli con tutte le nazioni del mondo, inclusi gli Stati Uniti». A parte i rapporti con l'Occidente, c'è la questione curda che sembra congelata, dopo un avvio di negoziato rapidamente abortito. In Turchia la seguiamo con ansia. Si può sperare in una pacificazione a tempi brevi? «Prima che ci attaccassero, la pace e la stabilità regnavano nel Nord dell'Iraq. Gli incidenti cominciarono al Sud prima che nel Nord. Se si intraprendono operazioni militari in una regione, gli abitanti cominceranno a emigrarne. Così una parte della nostra gente del Sud ha cercato rifugio in Iran. Perché, per evitarlo, l'Occidente non ha stabilito una zona di sicurezza nel Sud? La ragione è semplicemente la seguente. L'Occidente non ha potuto trovare nel Sud agenti disponibili alle sue macchinazioni come quelli che aveva nel Nord». Ma ora che cosa si aspetta? Pace o un'altra guerra coi curdi? «Sono lieto di affermare che non abbiamo alcun piano militare che possa provocare la migrazione del nostro popolo dal Nord dell'Iraq. Comunque ristabiliremo il governo della legge dopo che la situazione si sarà normalizzata. Siamo pronti a discuterne con qualunque dei nostri vicini che possa ancora avere dei dubbi in poposito». Ma su quali basi? «Avevamo preparato parecchio tempo fa un programma di autonomia per la nostra gente nel Nord dell'Iraq. Noi manteniamo ancora tale piano. Non ab¬ biamo alcun altro programma che l'autonomia. Non prendiamo assolutamente in considerazione una federazione. I vecchi colonialisti, nei tempi andati, misero il petrolio in mano a piccoli gruppi togliendolo alla massa della popolazione. Penso che i neocolonialisti stiano seguendo la medesima strategia. E perciò vogliono disintegrare l'Iraq. Dovrebbe essere chiaro che se l'Iraq si disintegra, subiranno la stessa sorte, quanto meno, la Turchia e l'Iran. Perciò nessun turco dovrebbe illudersi che i neocolonialisti diano alla Turchia le risorse petrolifere che la farebbero ricca e potente». Si riferisce al preteso interesse della Turchia a riannettersi la regione petrolifera di Kirkuk? Nel nostro Paese nessuno ci pensa seriamente. «Noi consideriamo Kirkuk come Baghdad. Faremo ogni sforzo per conservare Kirkuk come Baghdad e neutralizzeremo i piani di disintegrazione. La potenze colonialiste devono sapere che se porranno in atto qualche piano riguardo a Kirkuk, l'Irq lo considererà un "casus belli"». Ne seguirebbe una guerra al confine turco-iracheno. «Il nome "martello sospeso" (dato alla forza multinazionale che dalla Turchia dissuade Saddam da un nuovo attacco ai curdi, ndr) è stato scelto dall'Amministrazione Bush. Definiscono quella forza militare "martello". Credono che l'Iraq sia intimorito da quel nome. Ma l'Iraq non è stato spaventato da tutti i martelli che sono stati usati contro di noi dopo la notte fra il 16 e il 17 gennaio 1991. E l'Iraq non si farà certo spaventare da un martello scagliato da qualche angolo della Turchia». Bùlent Ecevit Derya Sazak Copyright «Milliyet Daily, e per l'Italia «La Stampa- «Pace con l'America purché impari a rispettare gli altri Proprio come faccio io» si ooa u e fte n è ttrto to le truppe Usa in SoalBspcosemridpve illiter nel Bande tati iniTur'inP l'Ai MB Il presidente iracheno Saddam Hussein è stato intervistato dall'ex premier turco Bùlent Ecevit [FOTO EPA)