In ospedale amici col camice azzurro
In ospedale amici col camice azzurro In ospedale amici col camice azzurro Anche a Natale, quando più acuto è il senso di solitudine e smarrimento, nel silenzio dei reparti ospedalieri ci saranno i «camici azzurri». Sono i volontari che dedicano tre ore alla settimana del loro tempo per stare accanto a un malato, parlargli, regalargli il calore di una famiglia. Da oltre dieci anni a Torino l'associazione volontari ospedalieri (Avo) è diventata una presenza costante; li si incontra nelle stanze, negli affollati corridoi del pronto soccorso, nelle sale di soggiorno spesso anonime e fredde degli istituti di riposo per anziani. Sono ottocento a Torino suddivisi in dieci ospedali. Studenti, operai, impiegati, insegnanti, pensionati. In maggioranza sono donne, tra i 30 e i 50 anni; numerose anche le coppie e le famiglie che trovano nell'impegno a favore degli altri una ragione di unità maggiore. Ogni anno 250 nuovi volontari si avvicinano all'Avo e seguono i corsi di preparazione. Tanti entrano, molti lasciano l'associazione perché la loro vita è cambiata; magari è nato un figlio, sono terminati gli studi, è arrivato un nuovo lavoro, si è ammalato un parente. Per Marina Chiai metta, responsabile dei 75 volontari che operano alle Molinette, quella dell'Atro è un'esperienza fondamentale, un punto fermo nella sua vita da dieci anni. Spiega: «E' inimmaginabile quanto sanno dare i malati». Aggiunge pensierosa: «Attraverso la sofferenza degli altri si comprende la propria sofferenza, si riesce a accettarla meglio». Con il ricordo ripercorre i momenti più difficili del suo volontariato; l'incontro con malati che lasciano un segno profondo. «Non mi potrò mai dimenticare un ragazzo molto giovane e molto malato. Si stava consumando per un cancro. Aveva un unico desiderio: tornare a casa sua in Sicilia a morire. Noi volontari gli eravamo legatissimi e lui a noi. Era qui solo, non aveva nessuno. Siamo riusciti a organizzare il trasporto in ambulanza lungo tutta la Penisola e riportarlo a casa. A morire». Nella sua mente si intrecciano le immagini, i volti, le voci dei tanti che ha incontrato nel corso del tempo. Non può scordare la ragazza tossicodipendente che al pronto soccorso le ha preso la mano e, guardandola negli occhi, le ha chiesto: «Hai figli? Come sei con loro? Sei una brava mamma?». O la donna anziana e malatissima che voleva a tutti i costi uscire dall'ospedale e organizzare la casa nel modo migliore per il marito con un ultimo gesto di amore. I volontari dell'Avo incontrano ogni giorno la disperazione di chi sa che non potrà guarire, la fatica di chi affronta lunghe malattie, la solitudine di chi non ha nessuno da aspettare o la voglia di giocare dei bambini ricoverati. Non si sostituiscono alle istituzioni, la loro è una presenza di conforto e amicizia, ma molto spesso imboccano i malati più gravi, svolgono piccole commissioni. In 150 si dedicano agli anziani ospiti dell'istituto di riposo per la vecchiaia (Irv). Alcuni svolgono un servizio di «richiamo alla memoria» sotto la supervisione dei medici. Racconta Salvatore Valenti: «Lavoriamo con un gruppo di alcuni anziani per volta cercando di stimolare la memoria, far riaffiorare i ricordi del passato. E' un modo per ancorarli alla realtà». Aggiunge: «Una signora non riusciva a ricordare nulla di Torino, era incredibile, dopo esserci vissuta per decenni. Le ho portato delle cartoline e lentamente, poco alla volta, siamo riusciti a riconoscere luoghi, a riallacciare ricordi di fatti e persone». Marina Cassi Sono 800 i volontari dell'Avo che assistono i malati negli ospedali di Torino: studenti, operai, impiegati. Presteranno la loro attività anche il giorno Hi Natale
Persone citate: Marina Cassi, Marina Chiai, Salvatore Valenti
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