Un Paese assediato dai supertassi di Gianni Zandano

Un Paese assediato dai supertassi Solo una politica di bilancio rigorosa consentirà di ridurre gli interessi e rilanciare la lira Un Paese assediato dai supertassi //panzer tedesco condiziona la ripresa economica GIANNI ZANDANO EI NUOVI SCENARI DEL CREDITO LO scenario dei tassi di interesse in Europa continua ad essere dominato dalla politica monetaria della Germania. Benché le condizioni dell'economia tedesca continuino a peggiorare - nel terzo trimestre il tasso di crescita del Pnl reale rispetto all'anno precedente è stato pari a zero -, la Bundesbank non accenna ad allentare la stretta monetaria. La banca centrale non ha ceduto alle crescenti pressioni per una riduzione dei tassi ufficiali. Anzi, ha fissato un obiettivo di crescita dello stock di moneta per il 1993 del 4,5-6,5 per cento, quando il tasso di crescita di M3 in novembre è stato superiore al 10 per cento segnalando al mercato ed al governo tedesco l'intenzione di perseguire una politica non accomodante anche nel medio periodo. Il controllo dell'inflazione resta la motivazione di fondo delle decisioni della Bundesbank. Il tasso dell'inflazione tedesco a novembre è stato pari al 3,7 per cento, nonostante la riduzione dei prezzi delle importazioni e della produzione industriale. I due fattori strutturali di inflazione che destano maggior preoccupazione per il prossimo futuro sono il deficit pubblico e la crescita dei salari. Ad essi si aggiunge l'aumento dell'aliquota Iva dal 14 al 15 per cento a partire da gennaio, che potrebbe spingere il tasso d'inflazione al 4 per cento. II deficit del settore pubblico dovrebbe assestarsi quest'anno intorno ai livelli del 1991 ( 110 miliar- di di marchi). Su questo dato continua a pesare la spesa per i Laender orientali, quasi 220 muiardi di marchi, di cui oltre la metà va direttamente o indirettamente a sostegno del reddito disponibile e dei consumi piuttosto che degli investimenti, alimentando così un notevole potenziale inflazionistico. Il governo federale ha varato un piano di rientro del deficit, che dovrebbe contenere la crescita della spesa nominale al 2,5 per cento annuo sino al 1996. Tuttavia, secondo alcune stime il deficit del settore pubblico per il 1993 dovrebbe aumentare, raggiungendo i 125 miliardi di marchi. La crescita dei salari, negli ultimi due anni, non è stata accompagnata da un comparabile aumento della produttività; inoltre il progressivo adeguamento dei salari dei Laender dell'Est a quelli dell'Ovest, in assenza di una parallela crescita di produttività, ostacola la ripresa ed alimenta le tensioni sui prezzi. Su queste basi è ragionevole prevedere che la politica monetaria tedesca rimarrà restrittiva almeno sino alla primavera del 1993, quando il round contrattuale si sarà concluso e quando la recessione avrà probabilmente frenato l'espansione di M3 e arrestato la crescita dei prezzi. Le scelte monetarie della Germania hanno imposto, nell'ultimo anno, un elevato onere agli altri Paesi dello Sme, costringendoU a mantenere elevati tassi di interesse an- che in una fase di rallentamento della crescita economica. La crisi valutaria di settembre ha fatto emergere due distinti modelli di politica economica in Europa, rappresentati dalla Francia e dalla Gran Bretagna. La Francia continua a perseguire la politica di deflazione competitiva, facendo della difesa del cambio franco/marco la pietra angolare della politica economica. Le autorità monetarie hanno ribadito la propria determinazione a mantenere il franco legato all'area del marco, fissando per il 1993 un obiettivo di crescita della massa monetaria del 4-6,5 per cento, pressoché uguale a quello della Bundesbank. La politica di deflazione competitiva ha portato la Francia ad essere il Paese europeo con i migliori «fondamentali»: un tasso di inflazione del 2,1 per cento in novembre, un deficit pubblico per il 1992 inferiore al 3 per cento del Pil ed un tasso di crescita del Pil nel 1992 del 2 per cento, il più elevato fra i maggiori Paesi europei. La politica di rigore ha tuttavia imposto elevati costi sociali, riassunti da un tasso di disoccupazione superiore al 10 per cento, ben più elevato di quello tedesco. Gii alti tassi di interesse necessari per difendere il cambio con il marco, che si traducono in tassi reali superiori al 7 per cento, pregiudicano la crescita dell'economia. Inoltre, mentre durante la crisi di settembre il governo aveva persuaso le banche a non aumentare i tassi attivi, nei giorni scorsi le aziende di credito, a fronte dei crescenti costi della raccolta, hanno aumentato il prime rate, trasferendo così l'impatto dei maggiori tassi sul sistema economico. Infine l'uscita di lira e sterlina dallo Sme e la svalutazione di peseta ed escudo rischiano di annullare i frutti della deflazione e di mettere in difficoltà le esportazioni francesi, che hanno costituito la forza trainante dell'economia. La speculazione contro il franco punta su questa debolezza del govenro, scontando gli effetti dell'incertezza sui risultati delle elezioni di marzo. La Gran Bretagna, per contro, uscendo dagli accordi di cambio ha operato anche una decisa revisione della propria politica economica. L'economia britannica è quella che maggiormente ha risentito della recessione mondiale: nel 1992 il Pil dovrebbe registrare una contrazione dell'I per cento, mentre la disoccupazione è superiore al 10 per cento. Se nell'ottobre 1990 l'adesione allo Sme appariva funzionale alla politica deflazionistica ed il legame con il marco ha effettivamente contribuito alla discesa dei tassi di interesse, nei mesi precedenti la crisi il vincolo di cambio costringeva le autorità monetarie a mantenere un livello dei tassi incongruo rispetto alla congiuntura economica. La fragilità dell'economia, rendendo impraticabile la difesa ad oltranza del cambio, ha alimentato l'attacco speculativo contro la sterlina. Venuti meno gli obblighi di difesa della parità, le autorità britanniche hanno intrapreso una politica monetaria anticiclica, riducendo il base rate dal 10 al 7 per cento in due mesi e lasciando fluttuare il cambio. La riduzione dei tassi di interesse alleggerisce il peso dell'indebitamento per il settore privato e, insieme alla svalutazione della moneta, crea le premesse per il rilancio dell'economia, tramato soprattutto dalle esportazioni. Con l'inflazione al suo minimo negli ultimi sei anni, una crescita salariale per il 1993 intorno al 4 per cento ed un deficit pubblico intorno al 6 per cento del Pil, i rischi di riaccendere le tensioni sui prezzi sembrano limitate. Come si colloca l'Italia rispetto a questi modelli? Come la sterlina, anche la lira è stata costretta ad abbandonare gli accordi Sme perché i «fondamentali» non rendevano credibile la difesa del cambio; tuttavia i tassi di interesse non sono scesi in misura analoga. La Banca d'Italia ha ricondotto gradualmente i tassi al livello precedente la crisi valutaria, da ultimo con la riduzione del Tus al 12 per cento, ma non ha intrapreso una politica espansiva come quella britannica. Gli ostacoli che si frappongono ad ima politica anticiclica fondata su bassi tassi di interesse sonò la situazione della finanza pubblica e i rischi di una ripresa delle tensioni sui prezzi. Il potenziale inflazionistico nella nostra economia resta infatti ancora elevato: il tasso d'inflazione a dicembre è stato pari la 4,7 per cento, ben più elevato di quello dei principali partner commerciali, mentre non si sono ancora manifestati gli effetti della svalutazione sui prezzi. Le difficoltà che il governo incontra nel ridurre il deficit pubblico, come testimoniano la recente revisione al rialzo del fabbisogno per il 1992 e la previsione del Fondo Monetario di un rapporto deficit/Pil per il 1993 ancora superiore al 10 per cento, non permettono ancora il mutamento del mix di politiche economiche. Solo una politica di bilancio restrittiva e credibile consentirà alle autorità monetarie di perseguire un abbassamento dei tassi per il rilancio dell'economia e di creare le condizioni per il rientro della lira, con una parità credibile, negli accordi di cambio dello Sme. Gianni Zandano presidente dell'Istituto bancario San Paolo di Torino La Bundesbank non accenna ad allentare la stretta e Parigi si arrocca sul cambio

Persone citate: Venuti