Nell'ospedale dei 400 miracoli

Nell'ospedale dei 400 miracoli Nell'ospedale dei 400 miracoli Un'italiana sola cura i bambini tubercolotici L'INTERNO PI MERCA MERCA DAL NOSTRO INVIATO Indossa una giacca mimetica troppo grande per lui. Anche il fucile mitragliatore sembra troppo grosso e troppo pesante per quell'esile cornicino. Ma è l'illusione di un attimo: con uno scatto l'impugna, lo spiana minaccioso verso la vettura mentre si avvicina, aggressivo e circospetto. L'autista lo interpella in somalo: lo scambio di battute è vivace, sembra assumere i toni dell'alterco. Ma è solo un'impressione, adesso ridono, anche la mia scorta pare rilassata, le armi vengono rimesse in sicurezza, il piccolo miliziano sposta le pietre che sbarrano la strada. Siamo arrivati a Merca. «Qualche problema?», chiedo ad Abdi, l'autista. «No. Lui voleva sapere chi eri. E ha chiesto soldi per comperare qat». Strano Paese questo, dove a 13 anni i ragazzi impugnano mitra e fucili, aggrediscono, derubano, uccidono per procurarsi il denaro per il qat, l'erba del piacere, che placa i morsi della fame e genera un senso di ebbrezza. Merca, piccolo porto sull'Oceano Indiano, 90 chilometri a Sud di Mogadiscio. I primi 50 chilometri sono d'asfalto, poi è l'inferno. L'imprésa italiana Salini aveva incominciato a costruire la strada, la massicciata è stata quasi ultimata quando è scoppiata la guerra, tecnici e operai sono tornati in Italia. Il vento e la pioggia si sono accaniti contro quest'opera incompiuta. Un tempo Merca era una ridente cittadina che viveva di pesca e di com¬ mercio. Godeva di un discreto benessere perché le campagne circostanti, irrigate dalle piene del fiume durante la stagione delle piogge, erano fra le più fertili di tutto il Paese. Adesso è una città fantasma, dove si aggirano migliaia di profughi fuggiti dai villaggi dell'interno per sottrarsi alla fame, alla carestia, alla guerra civile. La città è attraversata da un'unica strada stretta fra due file di case con le pareti sbrecciate dalie pallottole. All'inizio della via, venendo dal porto, c'è il Tb Hospital, l'ospedale per i bambini tubercolotici, «inventato» e diretto da Annalena Tonelli, un avvocato di 49 anni, specializzatasi nelle cure della tubercolosi all'università di Liverpool, da 23 anni in Africa, da cinque in Somalia, da un anno praticamente reclusa a Merca. Un ospedale inventato, sistemato in tre vasti edifici, dove sono ospitati circa 400 bambini, tutti ammalati di tubercolosi. Capelli striati d'argento, occhi di un azzurro intenso, una lunga veste svolazzante, Annalena Tonelli arriva seguita da un codazzo di bimbi. In braccio tiene un fagottino tutto pelle ed ossa, braccia e gambe che paiono ramoscelli secchi, la pelle avvizzita, gli occhi infossati. «E' uno degli ultimi arrivati: è molto grave; ma dovrebbe farcela a sopravvivere. Più che altro ha hisogno di affetto». L'ospedale della Tonelli è uno dei «miracoli» che s'incontrano in Somalia, realizzato con offerte di denaro e medicinali che un gruppo di amici di questo «angelo della boscaglia» invia puntualmente ogni mese. «Non facciamo capo a nessuna organizzazione, tiriamo avanti con le offerte di persone generose. Non ho mai ricevuto altra assistenza: le medicine me le mandano direttamente dall'Italia, il cibo lo compero al mercato. Al mercato nero, naturalmente, pagando prezzi esorbitanti, ma è l'unico modo per riuscire a dar da mangiare a questi bambini». Perché il porto di Merca è controllato dai «morian», le bande di rapinatori che s'impadroniscono di ogni cargo che viene sbarcato e «neppure un sacco di riso o di farina è mai riuscito ad arrivare all'ospedale». Nel periodo più turbolento, ogni giorno arrivavano circa 200 bambini, «tutti ammalati di tubercolosi, ma ci sono anche casi di epilessia, di lebbra, malaria». L'ospedale è diviso in due settori: in uno, il più affollato, ci sono i bimbi più gravi, nel secondo quelli in via di guarigione. «Ab¬ biamo istituito tre classi dove insegniamo a leggere e a scrivere. Alle bambine insegniamo anche a lavorare all'uncinetto e a tessere le stuoie». Da una delle classi si alza un coro di voci infantili, ritmato da un tamburo: è un canto di benvenuto per il mio arrivo. «Hanno bisogno di amore» ripete Annalena. Per tre volte in questi mesi l'ospedale è stato assalito dai «morian» che hanno portato via tutto, viveri e medicinali, distrutto le cartelle cliniche, fracassato i banchi e le sedie. «La cosa più terribile è che si lavora senza speranza: quale futuro ci sarà per questi bambini? A Mogadiscio sono arrivati gli americani, i francesi, i belgi. Adesso anche gli italiani. Ma qui non è ancora venuto nessuno e chissà se verranno. In compenso sono venuti tutti i ladri, i banditi scappati da Mogadiscio». La città vive praticamente assediata dalle bande, che controllano ogni strada di accesso con le loro «tec¬ niche», l'ospedale è difeso da uomini armati che però possono fare ben poco quando i criminali decidono di assalirli e «molto spesso sono d'accordo con loro, fanno finta di reagire, in realtà dopo si dividono il bottino». In una casetta sono ricoverati anche degli adulti, uomini e donne, malati di tbc. Sono scene di questa assurda guerra fratricida. E poiché nessuno sembra interessarsi ai loro problemi, gli abitanti di Merca stanno cercando di organizzare la loro difesa. Nel castello del sultano, Mana Sultan Abdurahman, una delle figlie dell'ultimo sultano, sta facendo cucire le divise per i gendarmi della nuova polizia. Protetta da uomini fedeli, sta organizzando la ripresa della vita amministrativa: «Se nessuno ci aiuta, cercheremo di arrangiarci da soli». Una scintilla di speranza nella città della paura. Francesco Fornati Un bambino somalo denutrito elemosina il cibo (foto ansa]

Persone citate: Annalena Tonelli, Mana Sultan Abdurahman

Luoghi citati: Africa, Italia, Liverpool, Mogadiscio, Somalia