«Un'inchiesta sui politici arricchiti»

«Un'inchiesta sui politici arricchiti» Il segretario de: no a un'amnistia generalizzata che mandi in esilio l'esperienza democratica «Un'inchiesta sui politici arricchiti» Martinazzoli: vediamo come vivono loro e le famiglie BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Onorevole, stia attento! In guardia anche le mogli, prudenti i figli e soprattutto i soci in affari. Dal «Teatro Grande», dov'è venuto a presentare il suo «Pretesti», libroraccolta di quindici anni di saggi, Mino Martinazzoli approfitta di una domanda di Sergio Zavoli su Tangentopoli e dintorni e sussurra: «Varrebbe la pena ipotizzare un'inchiesta parlamentare sugli arricchimenti dei politici». Che pretesto, il libro «Pretesti», per il segretario de che toma nella sua Brescia. In sala i fedelissimi non applaudono, non si fa, non è nello stile. Ma quante gomitate al vicino: «Sentito?». Con la solita flemma, e il solito martinazzolese, ragiona a voce bassa. Sarebbe qui anche per gli auguri di Natale, ma Zavoli insiste e Martinazzoli accetta: «Non sarebbe utile andare a vedere i livelli di vita di chi fa politica e delle loro famiglie? Lo domando, e lo dico, non per una sorta di voglia di aumentare processi di epurazione. E' l'indicazione di una strada, la mia, certo labile, ma che oggettivizzi la percezione che a me può apparire schiacciante o ingiusta, ma dall'altra parte è sentita, di un ceto politico classificato solo come un'accolita di profittatori». Non è piacevole, per il segretario de, dover ammettere che «la questione morale è diventata questione essenziale, e ormai la pos- siamo definire questione giudiziaria». E però, e caspita se Martinazzoli ci tiene, una distinzione morale andrebbe fatta: «Tra chi lo ha fatto (l'incasso, ndr) per mantenere in vita i partiti, e chi ha preso per mero interesse e arricchimento personale». Ciò detto, il problema resta, anche «perché la gente fa fatica a capire». E allora, tra «equilibrio e misura», il segretario de, ottimo avvocato ai tempi delle frequentazioni del Foro di Brescia, più che come difensore si esercita come parte civile. Una battutala sul giudice di Tangentopoli Gherardo Colombo («ma non sto a pignolare sul fatto che sia arrivata proprio da lui») e la sua proposta di condono. Se provocazione è, in senso buono, va accettata: «Serve un'idea che porti ad una soluzione che con le normali vie giudiziarie non verrebbe raggiunta. Non vedo però la via del condono facilissima. Anzi vedo da parte di alcuni ansietà per questa soluzione, che è la meno scomoda. Ma io non parteggio per questa. C'è tuttavia, nella proposta, un qualcosa di inaccettabile: chi vede un'amnistia generalizzata, togliattiana, come un preludio ad un esilio dei politici si sbaglia. L'esperienza democratica non deve andare in esilio». Sempre a bassa voce, Martinazzoli ha preso al volo una domanda di Zavoli per chiarire le sue posizioni. Spesso, dice «sono complesse», e «fraintese». Sull'informazione di garanzia per Bettino Craxi, ad esempio. «A differenza di alcuni critici, io non sono mai stato dalla parte del craxismo trionfante. E' che non mi piacciono le vignette di Craxi in orbace, a testa in giù. 0 le gazzarre sotto la sede di via del Corso... E ciò non è incline a pretese di indulgenza indiscriminate. Dico di più: Craxi, forse inconsapevolmente, non si rende conto che le sue spiegazioni coincidono e colludono con la pretesa dei suoi avversari quando offre argomenti a chi dice che le responsabilità individuali sono il portato di un sistema. Proprio per questo, se il sistema è colpevole, va rimosso». E su questo Martinazzoli non è d'accordo: le responsabilità penali, quando ci sono, sono individuali. E questo, s'intende, vale anche per Craxi. Giovanni Cerniti Mino Martinazzoli

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