Poeti dalla parte degli sconfitti di Osvaldo Guerrieri

Poeti dalla parte degli sconfitti Recital all'Adua con il Gruppo della Rocca Poeti dalla parte degli sconfitti TORINO. E' un bel titolo «Dalla parte di Ettore». Indica subito il gioco al quale si vuol giocare: il gioco degli eroi sconfitti o, comunque, di quella schiera indifferenziata, dolente, magari orgogliosa, a cui il destino ha riservato la sorte amara dei battuti. Ettore è il simbolo di ogni perdente. Non è mai stato animato da ira funesta, come invece lo fu il suo terribile avversario, il Pelide Achille, antipatico a tutti i lettori dell'Iliade perché vincente e perché disumananamente invincibile. Ettore, il vulnerabile, l'umanissimo Ettore ha fatto dunque da spirito guida, lunedì all'Adua, a una serata che era molto più di un recita) poetico e molto meno di uno spettacolo teatrale in senso stretto. Ideato da Roberto Mussapi e prodotto dal Gruppo della Rocca, l'avvenimento intendeva magnificare «la gloria di chi difende, chi custodisce e perde». A tale scopo Mussapi ha individuato in Mario Luzi, nell'irlandese Seamous Heaney, in Giuseppe Conte e, ga va sans dire, in se medesimo quattro possibili voci dalle cui cadenze, sonorità e spessore sarebbe stato possibile individuare uno dei tanti percorsi che portano a riconoscere lo sgomento della sconfitta. Il quale ci avvolge come una nebbia fradicia e pungente con le quattro poesie tratte da «Nel magma» di Luzi, soprattutto con la prima delle quattro, «Presso il Bisenzio». Qui, tra ansiti e silenzi, alcuni compagni di lotta si consegnano allo scacco della loro utopia: «Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze, / e non senti che è troppo. Troppo, intendo, / per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni, / giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla sua mancanza umiliante». Dal che deriva un senso di impotenza intellettuale, quasi un'impossibilità a capire ciò che pure è stato fatto o tentato: «Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro, / mi dico, potranno altri in un tempo diverso. / Prega che la loro anima sia spoglia / e la loro pietà sia più perfetta». Luzi aggrega alla schiera degli sconfitti i malati, i morenti, le donne non più amate, nel cui volto, che poi è lo specchio di noi stessi, scorgiamo spesso menzogna e viltà. Poesia straordinaria, tenuta su un ritmo ampio, privo di soprassalti, eppure così sconvolgente nel fiotto di umanità che qui non vuole ancora chiamarsi religiosità. Gli sta degnamente al fianco Seamous Heaney, la cui «Regina della Torbiera» (tradotta da Tomaso Kemeny) è un magnifico canto funebre su una civiltà che riemerge dalle ombre grazie al racconto di una misteriosa Regina, sepolta «tra stipiti di pietra / alla testa e ai piedi», eppure presente fra le torbiere, che sono il calderone mitico entro cui la nostra coscienza si fonde con la storia. Registro diverso con Mussapi e con «L'ultima fiaba di Sharazàde». Qui siamo nel territorio degli incantesimi, dei tappeti blu pavone, delle notti arabe fredde di marmo e calde di vento. Sharazàde, giunta alla millesima e una notte del suo raccontare non vuole più sobillare la fantasia del sultano, rinuncia a raccontare l'ultima favola: racconterà invece se stessa, la storia definitiva che forse le procurerà la morte. Non male. Come non è male, nonostante la prolissità, il brano di Giuseppe Conte «Alati amici di Roibeard», un monologo che continua idealmente il diario scritto in prigione dal patriota irlandese Bobby Sands: senso della natura, visioni domestiche, il corpo che lo sciopero della fame indebolisce fino alla paralisi, la nostalgia del pane nero imburrato e indorato dal miele. Affidata all'interpretazione di Oliviero Corbetta (bravissimo nell'arduo compito di render pronunciabile la poesia) e della giovane Emma Dante, la serata ha richiesto agli spettatori un'attenzione spasmodica, ma li ha ricambiati con una moneta rara, con la grazia delle parole dure come il rimorso ma leggere come la garza. Vorremmo continuasse. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Torino