Bacco e gli altri trionfi di Maurizio Lupo

Bacco e gli altri trionfi Bacco e gli altri trionfi L'esperto: avventura fra le ceramiche I \Alm TORINO ERAMICHE Lenci all'appello: dalla numero 1, il Trionfo di Bacco firmato da Giovanni Grande nel 1929, all'Aviatore, modello 2001 del 1959, più quelle non numerate degli Anni Cinquanta, fino alle ultime forme del 1964. La celebre manifattura di Torino ha pubblicato l'archivio storico, offrendo così tutti i dati utili per identificare la produzione completa e favorire anche una corretta stima dei pezzi sul mercato antiquario. Il Catalogo generale edito da Umberto Allemanda, da pochi giorni in libreria, è curato dallo storico dell'arte Alfonso Panzetta. Riproduce 1800 pezzi, su tremila opere esaminate. Sono stati selezionati sulla scorta di ottomila immagini d'archivio e di quattromila disegni tuttora esistenti. Quotazioni eccezionali Questo lavoro era molto atteso: perché definisce e riordina il mercato. Sottrae da arbitrarie datazioni e imprecise attribuzioni una collezione che fin dagli inizi ha destato molto interesse; oggi alcuni «pezzi» particolarmente ricercati possono toccare cifre eccezionali. «La ricerca - spiega Panzetta - non si limita alla prima produzione ceramica, avviata nel 1929, ma bada anche a quella che Pilade Garella e il figlio Beppe proseguirono fino al 1964, dopo aver rilevato nel 1930 la ditta fondata dai coniugi Helen Kònig e Enrico Scavini». Si scopre una gamma di articoli che vanno da indubbie opere d'arte a oggetti d'uso quotidiano. «Non tutto ciò che è marchiato Lenci è di valore - osserva Panzetta -: per esempio non 10 sono tante suppellettili per la casa. Ma potrei citare anche alcune tazze firmate da Gigi Chessa che sono molto apprezzate. Investire in Lenci non è comunque facile, perché non si sa quanti pezzi sono stati tirati». Lo studioso sostiene che solo i primissimi modelli uscivano numerati. «Dei successivi - dice - si conosce solo il numero d'edizione e non la tiratura che, pur essendo sempre limitata, teneva conto del mercato. Gli esemplari di maggior successo furono replicati nel tempo. Le faccio un esempio: uno dei modelli più ambiti, la "piccola italiana" di Helen Kònig, finora è stato datato fra il 1931 e il 1932. Invece è più tardo, e sappiamo che rimase in produzione fino alla fine del fascismo. Non è un dettaglio da poco, visto che oggi 11 pezzo spunta quotazioni di decine di milioni». Anche per l'attribuzione delle opere bisogna fare delle precisazioni. «Fm dall'inizio - prosegue Panzetta - le ceramiche Lenci nacquero come cimento collettivo, al quale partecipavano coralmente l'ideatore, modellatori e pittori. Così non è sempre facile attribuire ogni pezzo a un preciso autore. IIAbissina, che reca la firma di Vacchetta, deriva da un disegno di Mario Sturani. Vi sono poi ceramiche di Helen Kònig nate da pastelli di Dudovich. E' un'avventura d'equipe». A questa avventura nel 1930 partecipò come modellatore anche Umberto Mastroianni. L'artista non ha mai enfatizzato questa esperienza, ma i libri contabili ora rivelano a sorpresa che c'era anche la sua mano nelle cermaiche Lenci. E parlano anche di Pilade Garella. La fine dei «multipli» Panzetta insiste sulla figura di questo personaggio: «Finora è stato presentato solo come colui che rilevò la ditta al momento della crisi. Non è vero: era in società fin dal 1931. Né è giusto sottovalutare il suo impegno». Furono la ciisi economica del tempo e i gusti del pubblico che lo costrinsero a ritoccare la produzione. «Se all'inizio la messa a punto dei pezzi avveniva sotto controllo dell'ideatore e i multipli erano realizzati con pittori in sintonia con l'artista, in seguito la lavorazione, pur rimanendo artigianale, tese a contenere i costi, privilegiando modelli più semplici. Ma pezzi intessanti nacquero lo stesso, grazie ad artisti come Mario Sturani, Luigi Comazzi e Piero Ducato». Maurizio Lupo

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