Attento, Mariotto non sei Superman

Attento, Mariotto non sei Superman IL PALAZZO "1 Attento, Mariotto non sei Superman ROPPO Mariotto, troppo Segni. Troppo perfettine e insistite le metafore, l'altro giorno la battaglia di Lepanto, la flotta turca, il Visir De Mita, ora questa di El Alamein e del generale Montgomery. Attenzione. Troppa smania di titoli ad effetto, troppo presenzialismo intervistatorio, troppo personalismo tv, troppe foto con la mano che fa la V di vittoria. Troppo definitivo l'addio alla de. Troppo brusco poi il riavvicinamento. Troppo facilmente dimenticata la batosta della lista di «Alleanza democratica» a Fiumicino. Quindi troppo gridato, troppo «merito mio», cioè suo, di Segni, il successo della de che sceglie, in teoria, la logica maggioritaria. Altrimenti? Beh, altrimenti «farò la guerra», «ci getteremo nella mischia», «con i cittadini sulle barricate». E allora comincia a sembrare paradossalmente in discesa, per di più appesantita da sbandate ed eccessi ,,che gli tengono, perdonati con straordinaria magnanimità, la strada di Segni. Resa ancora ptft scoscesa datutta la bardatura massmediologica sulla faccia onesta, dal fardello dei cantori del suo coraggio mite, della sua tenacia isolana. Che tali virtù ci sono sicuramente, anche se sul personaggio s'intravede un altro dubbio, più recente e intricato. Al di là dei grotteschi sospetti della nomenklatura, che lo vorrebbe burattino di Cuccia, o di chi lo descrive secondo moduli arcaici come uomo di destra, neocentrista, conservatore, tecnocrate e altre palle c'è semmai da chiedersi se quel poster di Superman appeso nel suo ufficio come una cosa spiritosa, perfino auto-ironica, non sia un rischio o, senza farla troppo lunga, almeno materia per un pensierino. Se per il personaggio non sia in qualche modo iniziata una pericolosa metamorfosi, se insomma, detto con rispetto, Segni non si sia anche un po' montato la testa. Martinazzoli ha già parlato di «linguaggio spocchioso». Riflesso, magari, di quella specie di culto della personalità che si alimenta ormai in modo acritico, sgangherato, con sconfinamenti nel comico. Perché a leggere la maggior parte dei giornali, Segni, l'umile e schivo Segni, non dice, «tuona». Non ha vinto il referendum, è «il trionfatore del 9 giugno». «Eroe caparbio», per l'Indipendente, addirittura «novello Cesare», per l'Unità. E sarà stato anche lo sconforto per tutti gli altri ad ispirarla, ma l'unica biografia di Segni offre il ritratto di una figura davvero esagerata, perfettamente disumana: figlio specchiato, maritOrideale, pgdre fantastico, grande studioso, professore modello. Striscianti e garrule, con l'aggravante .di essere talvolta in buonafede, quindi ancora più inconsapevolmente pericolose, le lusinghe finiscono per estendersi a collaboratori ahimè sempre meno imbarazzati. Alla signora Vicky, pardon Hillary. Alle figlie che pure, saggiamente, avrebbero raccomandato: «Attento, papà, non ti gasare troppo!». Appunto: piano con quei plurali maiestatis, con quel parlare di sé in terza persona. Magari è solo questione di immagine distorta, di illusione ottica, però tra incensi editoriali, inchini televisivi, rassicurazioni astrologiche, che ovviamente ci sono pure quelle, alla fine viene quasi la voglia di porselo almeno una volta il dubbio - atroce che abbia ragione Sbardella: «Segni non esiste». O che forse proprio con lui, il più diverso tra i politici, il disperante consumismo dell'adulazione potrebbe riuscire là dove sono falliti veleni e randelli. Filippo Ceccarell Bili |

Luoghi citati: El Alamein