Se n'è andato con un cruccio di C. Al.
Se n'è andato con un cruccio Se n'è andato con un cruccio «Ho in testa un libro, ma è tardi» MILANO. Il 29 ottobre, a casa sua in via Cesariano, Gianni Brera stava leggendo l'ultimo libro del musicologo e direttore d'orchestra Gianandrea Gavazzeni, beveva un bicchiere di bonarda pavese («media proporzionale fra la ciurlino, emiliana, cioè la pisciarella del lambnisco, e il vino severo dei piemontesi»), alternava tirate da un toscano e da una Nazionale, si accarezzava la spalla rotta in una caduta e disse: «Sono vecchio e pieno d'odio». La prese alla lontana. Parlò di terronidad. Disse che terrone viene da terrori, zolla in spagnolo. Disse che terroni non sono soltanto i meridionali, ma tutti gli italiani: il terrone è il bastardo, il figlio di mille razze. «Io, di San Zenone Po, sono un terrone. Brera è nome scandinavo, ma i femori si sono accorciati per il mangiar polenta in tanti secoli e i giganteschi longobardi son diventati traccagni». La terronidad saliva poi a categoria dello spirito: «L'italiano, il terrone, è gente cialtrona, indo¬ lente, rodomontica, paurosa. Di loro avrei voluto narrare». Spiegò che aveva in mente da tempo di scrivere un libro intitolato Nel bosco degli eroi, una storia che iniziava coi suoi 3 anni di ufficiale al Sud, da quando arrivò a Barletta nel 1941 con gli stivali rigidi: «Teorizzai allora il terronismo di tutti noi che viviamo nella doppiezza, nel tornaconto, nella povera furberia. I fascisti che ho conosciuto erano in realtà degli antifascisti. Sabotavano, tiravano a campare». Disse che a questo popolo contadino e bastardo spettava una lingua di infinite e bastarde parole, come quelle che usava lui, che gli piaceva scovare, pasticciare, inventare. Parole dotte e perdute di ieri, parole del dialetto di ieri e di oggi, parole stravolte, inesistenti ma vitali. Il linguaggio come estro, come polenta, come colata caotica. «L'Ingegner Gadda insegna», disse. Così nasceva il suo stile straordinario. Uno stile che era una visione del mondo. A parte la Storia critica del calcio italiano, Addio bicicletta e Coppi e il diavolo, e a parte prose minori, scrisse in questa lingua tutta sua opere di narrativa, come II corpo della ragassa (1974) e Naso bugiardo (1977). Non gli mancarono elogi dai critici. Ma perché quell'odio triste nello sguardo? Alzò le spalle guardandosi il petto. Come dire: «E' con me che ce l'ho». E stette zitto per un po'. «Avrei dovuto scrivere Nel bosco degli eroi, quelle mie memorie da reduce disse poi - siamo tutti reduci». Ci sarebbe entrata l'Italia della guerra e del dopoguerra: «Amo questo mio disgraziato Paese». L'avrebbe confortato: «Ho 73 anni. Mi piace ricordare». Vi avrebbe sfogato l'istinto di narrare: «Ne avevo di storie!». Fece capire che ormai era tardi per non accettare «i denari che gli offrivano da tutte le parti». Fece capire che era tardi per fare solo lo scrittore. «Non è detto», disse alla fine. Nel bosco degli eroi lo attirava come un sogno, che si è portato con sé. [c. al.]
Persone citate: Brera, Coppi, Gadda, Gianandrea Gavazzeni, Gianni Brera
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