Era il «Gadda» del pallone
Era il «Gadda» del pallone Era il «Gadda» del pallone Le sue invenzioni, da abatino a catenaccio HA RISCRITTO IL VOCABOLARIO DEL CALCIO RENT'ANNI con Brera, dagli Europei d'atletica di Belgrado '62. Quando a fine servizio ci convocava nella sua stanza d'albergo. «Ragazzi, un bicchiere di Barbaresco per tirarci su». Due, tre bottiglie sempre nel suo necessaire da viaggio, custodite in una borsa in pelle con scomparti. Commissionata su misura ad un artigiano della Brianza. Da fratello in calcio, come usava dire, il saluto l'altra domenica durante Milan-Ancona. A San Siro dove i posti di Repubblica e La Sampa confinano. «Sei in riserva? Tieni due toscani, sono fra gli ultimi». Gli orginali, merce rara. Per sua consuetudine, ogni Natale, ai compagni di fumo regalava una pipa. «Abbi pazienza, non le ho portate. Te la darò dopo Capodanno. Auguri, comunque». Trent'anni passati a sorprenderci e divertirci con le invenzioni del suo lessico. Un modo di essere Brera, unico. Parole che sono diventate di tutti, dopo aver caratterizzato uomini, fatti ed epoche. A cominciare dalla musa del pallone. Eupalla. Gli piaceva citarla. Per lui più che la fortuna era il destino, l'accompagnatrice fissa sui prati del calcio. Non era solo l'Eupalla che mandava il pallone in gol all'incrocio dei pali invece che fuori di un soffio. Spiegava: «E' la musa che guida tante partite, qualche volta sottolinea i meriti e altre combina misfatti. Ma se uno ci crede, può anche ricorrere a lei per consolarsi di una giornata nera». Abatino. Coniò l'appellativo per Rivera. Grande cultura calcistica e scarso cuore. «I giocatori sono operai della pedata, a pochi va riconosciuto il inerito dell'arte se hanno genio particolare. Ma io resto dell'idea che chi ha paura dovrebbe cambiare mestiere». Abatino è stato un termine poi appiccicato a tanti, Rivera se lo porta appresso ancora da onorevole. Ma l'appellativo non lo offende più, dopo le baruffe all'alba degli Anni 60. Era più elogio che condanna. Libero. Si attribuisce a Brera la definizione del ruolo chiave della difesa all'italiana a lui cara. Ma non se ne era mai gloriato. «C'era in origine il battitore; più tardi il battitore libero. Ho inventato io la definizione catenaccio? Al massimo questa è stata una traduzione. La Svizzera che giocò contro di noi la prima partita del dopoguerra già applicava il verrou, che è la stessa cosa». Ciccillo Cacace. Un personaggio che compariva non raramente nei suoi articoli. Definiva così il «nessuno» che pretendeva spazio in partita, in pista, da dirigente o da tecnico senza avere titoli e meriti. Chi si riconosceva in Ciccillo Cacace sapeva cosa pensasse di lui Gianni Brera. Barba Pùss. A distanza di epoche, quanti scontri ideologici con Vittorio Pozzo et pluricampione del mondo. Lo apprezzava, perché Brera ha sempre amato i vincenti. Però eccepiva: «E' stato bravo, ma nei suoi successi ci fu l'appoggio dal Regime». La famiglia Pozzo si ribellò, c'è stata una lunga battaglia. Ma non si può negare che «Barba Pùss» sottintendesse affetto. Rombo di Tuono. Il massimo, forse. Tutta la potenza e l'istinto del gol di Gigi Riva. Brera lo amava. «Un lombardo come me che ama la Sardegna, ricambiato. Solo uomini veri sanno creare certi rapporti. Poche parole e molti fatti». Gamba 'd seler. Achilli, mitico mediano dell'Inter. Un'acciuga, dalla testa ai piedi. «Se avesse avuto più muscoli sarebbe stato il migliore del mondo». Quando si trovavano si abbracciavano. Achilli: «Signor Brera, se la prenda con mia madre...». Boninba. Cioè Boninsegna. Una contrazione efficace, che piaceva molto al centravanti di Inter, Juve e nazionale. Boninba il suono della potenza. «Boninsegna è troppo lungo, ci va più tempo a pronunciarlo di quanto ci mette a far gol». Idem pensava lanciando Mazzandro, regalato a Sandro Mazzola. Il divino aborto. Maradona non lo ha mai convinto a fondo. Brera si arrendeva malvolentieri alle qualità tecniche di Diego, ma non scordava i suoi amori per il calciatore-atleta. Delle Zolle. Un giocatore che compariva nei resoconti quando Brera voleva dire brocco senza giungere all'offesa. Spiegava: «Non è poi così pesante. Io sono uomo di campagna, della Bassa. La zolla è un pezzo di terra, la terra è la nostra madre». Anche la sua geografia era punteggiata da altri battesimi. Baccolandia. Così chiamava il Piemonte che andava a vedere, ad apprezzare per vini e tome, da «quel prodigioso balcone alto che è La Morra». Gli seccava un poco parlare di Piemonte, per lui tutto ciò che si stende ai piedi delle Alpi era Lombardia, almeno Padania. Tutto quello, insomma, che sta attorno al Po che citava affettuosamente come «il Vecchio Padre ubriacone. Del quale ti sfoghi a parlarne male. Ma sai che la nostra lunga valle è la più straordinaria del mondo». Spesso duro nei giudizi e crudo nelle polemiche, strenuo difensore del suo football votato al «primo non prenderle», Brera ha ironizzato anche su se stesso. Quando andava sul pesante, avvertiva: «Io, Giannibrerafucarlo, vi dico...». Bruno Perucca «Eupalla», musa delle partite «Delle Zolle» era il brocco Amava «Boninba» Gianni Brera con lo scrittore Giovanni Arpino: la foto è stata scattata in un ristorante milanese del «quartiere cinese»
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