Il secondo mistero cinese di Eltisin
Il secondo mistero cinese di EltisinGiallo su una «rivoluzione conservatrice» al governo. Il leader russo: torno a portare ordine Il secondo mistero cinese di Eltisin Fugge da Pechino: «A Mosca è il caos» PECHINO DAL NOSTRO INVIATO Lo aspettavano a Shenzhen per l'ultima tappa della sua visita in Cina. Ma Boris Eltsin non è andato a vedere l'isola capitalistica del comunismo cinese. E' tornato invece in tutta fretta a Mosca lasciando tutti con un palmo di naso: dirigenti cinesi, che non hanno fatto neppure in tempo a salutarlo; giornalisti stranieri, che hanno dovuto inseguirlo trafelati all'aeroporto per capire cosa stava succedendo; perfino i suoi più stretti collaboratori, che non ne sapevano niente. Così il viaggio a Pechino si è concluso quasi nel dramma, con una conferenza slampa, ai piedi della scaletta dell'aereo presidenziale, che ha innescato l'inquietudine internazionale. «Qualcuno a Mosca - ha esordito Eltsin - ha cominciato una specie di rissa (ha detto proprio rissa, ndr) sulla questione dei portafogli ministeriali. Per questo il padrone deve ritornare per ripristinare l'ordine». Il Presidente continuava: «Se si tratta di cambiare due o tre ministri, è un conto. Ma se il nuovo premier vuole cambiare tutti, non lo permetterò. Il nucleo dei giovani ministri riformatori proposti da Gaidar deve restare». Questo il messaggio lanciato prima di salire la scaletta a braccetto di Naina. Qualcosa di grave era dunque accaduto a Mosca nella notte? Le informazioni da Mosca non lasciavano trapelare alcun segno, d'inquietudine. Il neopremier Cernomyrdin era appena partito per Alma-Ata, capitale del Kazakhstan. Il povero Anatolij Krassikov, portavoce del Presidente, rimaneva sulla pista a dare informazioni imbarazzate, sdrammatizzanti, addirittura opposte a quelle di Eltsin: «Non è successo niente di straordinario, la parte essenziale della visita è conclusa. Non c'è nulla che richieda misure speciali, ma la normale attività politica richiede a Mosca la presenza del Presidente, visto che sono in corso consultazioni per la formazione del nuovo governo». E allora? Krassikov aggiungeva che «il cambiamento di programma è avvenuto questa mat¬ tina... Una telefonata da Mosca...». Ma chi ha telefonato? Cosa ha detto? No comment. Forse tutto è stato innescato da un articolo uscito sulle Izvestija, a firma Serghei Agafonov, corrispondente da Tokyo. Vi si riferiva di un'intervista rilasciata all'agenzia giapponese Kiodo Tsusin da Arkadij Volskij, attribuendo a quest'ultimo - uno dei leader di «Unione Civica» - intenzioni bellicose verso il presidente Eltsin, la richiesta perentoria di cambi radicali nel governo e addirittura i nomi dei candidati a sostituire Gaidar (con Saburov), il ministro degli Esteri Kozyrev (con Vorontsov), quello dell'Economia Neciaev e quello delle Relazioni economiche con l'estero Aven. Arkadij Volskij - a Tokyo in qualità di presidente dell'unione industriale - aveva non solo smentito tutto, ma fatto sapere di avere incaricato i suoi legali di sporgere denuncia contro Agafonov per «disinformazione». Volskij dichiarava anzi di avere detto che «avrebbe volentieri visto Gaidar come vice di Cernomyrdin con l'incarico di sovrintendere alla riforma economica». A Mosca un portavoce del Cremlino cercava di sdrammatizzare: «Tutte queste affermazioni attribuite a Volskij sono false. Si tratta di un'invenzione giornalistica». Ma altri, sempre a Mosca, stavano soffiando sul fuoco. Innanzitutto l'autore - per ora sconosciuto ma, evidentemente, molto in alto - della telefonata a Eltsin. Che si presume sia in stretto collegamento con la direzione delle Izvestija, visto che il giornale tornava alla carica con un articolo titolato significativamente così: «Mentre Eltsin è a Pechino, a Tokyo Volskij forma il governo di Cernomyrdin». Non resta che fare due più due e ricordare che negli ultimi tempi le Izvestija sono diventate, di fatto, l'organo della fazione radicale più estremista, quella che fa capo a Burbulis (ex segretario di Stato) e Poltoranin (ex ministro dell'Informazione), i due uomini da poco costretti a lasciare incarichi cruciali nella squadra del Presidente. Ma, sebbene molto verosimile, l'ipotesi di una vera «provocazione», organizzata da questi ex alleati di Eltsin, non riesce a chiarire tutte le circostanze. Prima fra tutte il fatto che Eltsin vi si sia lasciato coinvolgere, anche a costo di dimostrare una preoccupante debolezza. E' possibile che la «squadra perdente» abbia deciso di giocare le ultime carte per condizionare la discussione sulla formazione del governo. Una drammatizzazione della crisi politica a Mosca sarebbe apparsa utile per sollevare in Occidente un'ondata di ansia e per far muovere tutte le Cancellerie a sostegno di Gaidar. Eltsin potrebbe avere ritenuto che una tale operazione gli sarebbe stata utile per riprendere in mano l'offensiva con una prova pubblica di forza finalizzata a ripristinare la propria autorità. Giuliette» Chiesa
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