C'è una scimmia in tv è un bimbo che canta di Furio Colombo

C'è una scimmia in tv è un bimbo che canta polemica. I Maghi Zurli: tante buone intenzioni ma anche grandi disastri C'è una scimmia in tv è un bimbo che canta ANEW YORK VOLTE sono materiali diversi, estranei tra loro, che provocano una rifles sione, o rendono improvvisamente qualcosa più chiaro nella nostra testa. Faccio i tre esempi che seguono perché, casualmente, si sono accatastati l'uno sull'altro nelle mie impressioni degli ultimi giorni. Tutti e tre gli esempi riguardano i bambini e lo spettacolo. Ovvero il doppio ruolo, frequentissimo, dei bambini come protagonisti e come spettatori di uno spettacolo. O più semplicemente l'uso dei bambini. Dunque, negli stessi giorni ho visto il film di Lina Wertmùller 10 speriamo che me la cavo, il celebre programma per bambini della tv americana Sesame Street, che è appena stato portato in teatro a Broadway, e la finale dello Zecchino d'Oro. Primo caso. I bambini dicono qualche parolaccia e appaiono coinvolti in qualche vicenda losca, come il furto e la violenza. E' la trama che la Wertmùller ha costruito per portare sullo schermo il libro del maestro D'Orta basato su temi di bambini, dunque su materiale vero. Ebbene, nonostante alcune parolacce, il film è pieno di delicatezza e di attenzione. Una volta stabilito che il centro della storia sono i bambini, viene evitato sia 11 protagonismo esasperato che li trasforma in animaletti da circo, sia la santificazione. Tuttavia manca anche il realismo crudo che forse la regista avrebbe desiderato, per rendere più drammatico il suo film. Non lo ha fatto, e i suoi personaggini, pur senza quasi recitare, passano messaggi di bambini con gli occhi aperti su un mondo spezzato. Se l'economia si applicasse ai valori della creatività si dovrebbe dire che, dato il materiale originale, l'autrice ci dà un «valore aggiunto» che ci interessa e ci importa. Ma a spese nostre, della nostra attenzione e reazione di adulti. Non a spese dei bambini. Seconda esperienza: Sesame Street. Ormai circola per l'America una generazione di ventenni che è stata formata da questo spettacolo per bambini messo in onda per quasi due decenni dalla televisione pubblica (non commerciale) americana. Non conosco rilevazioni statistiche, su questo punto. A occhio, pensando ai tanti ex bambini di quel gruppo che conosco, direi che è stata una generazione beneficiata e migliorata dall'avere visto Sesame Street. Tutto è «bambini», in quel programma, ma non ci sono bambini. Sono pupazzi grandi e piccoli, simpatici e antipatici, molto diversi fra loro in modo da ricordare l'incredibile diversità fra esseri umani, che i bambini scoprono a mano a mano, un po' per esperienza e molto lungo il filo del pregiudizio degli adulti. Sesame insiste sulla diversità perché vuole comporre situazioni che alla fine funzionano a causa della diversità; che viene vista come un arricchimento non come un pericolo. S'intende che Sesame Street fa ridere. S'inten¬ de che i bambini possono identificarsi fino a recitare la parte dell'animale preferito di fronte al televisore. Ma il punto di equilibrio, di riflessione, di decisione, resta dalla loro parte. Non solo non rischiano, non si espongono e non vengono usati. Ma ricevono nel solo domicilio che un bambino ha, dentro se stesso, messaggi che sono cari, sono importanti e che durano. E arriviamo al terzo modello, Lo Zecchino d'oro. Poiché non vivo in Italia, diciamo che il programma mi ha colpito perché è tutto sulle spalle dei bambini. Programmi così non esistono negli Stati Uniti, dove vi sono forti restrizioni persino nell'uso dei bambini nella pubblicità: dagli spots sono quasi scomparsi, per il timore di trasformarli in precoci agenti di vendita. Questo timore non tocca per ora i pubblicitari italiani. E neppure coloro che fanno lo Zecchino d'oro e che, come ricordo ormai da tantissimi anni, sono brave persone preoccupate di far cose buone per i bambini.' Dùnque io non discuto le intenzioni: Rad1 conto quello che ho visto. Ho visto bambini cantare a squarciagola ariette molto brutte, in gara l'uno con l'altro. Bambini piccolissimi che non possono essere protagonisti di quello che fanno, ma sono solo materiale usato per fare spettacolo. Sono bambini immolati da madri che non hanno riflettuto e da programmatori (o forse anche educatori) che non hanno esitato a usarli come pacchetti. A quell'età il bambino che fa spettacolo non è che uno scimmiottino ammaestrato. Bastava vedere le penose moine, i sorrisetti forzati, il piegare di qua e di là la testolina per fare «ritmo» e le penose imitazioni dei cantanti che avranno visto in televisione. Sono bambini con un po' di vocina che al primo urlo sono stati incoraggiati, al primo vezzo di imitazione sono stati spinti «a farlo». E poi sono diventati pedine del peggior gioco che si può progettare per quell'età. Invece dei giochi di voce che si possono fare in còro, dunque insieme e in collaborazione; invece dei piccoli esercizi di buona e grande musica a cui i bambini sono sensibilissimi (e alcuni davvero portati); irivece della giòia di èssere'pubblico fra il pubblico é bambini fra bambini, questi piccolini devono comparire da soli, col cuore in gola, davanti a una platea, da- . ■ . i yn .t • •;. .iiiu'.' vanti alle telecamere, diretti da una signora che indica «alto» e «basso» con la bacchetta. E con le loro vocine stremate devono cercare di fare il meglio per portare a casa il premio. Come se non bastasse, li vota una giuria disattenta e del tutto casuale di altri bambini, che premiano e puniscono secondo il loro estro bizzarro (visto che il gusto si insegna a quell'età, ma non si può avere). Come se non bastasse i piccoli scimmiotti della giuria imparano presto l'ipocrisia dei grandi. Un bambino nero riceve più voti solo perché è nero, creando una ulteriore distorsione di questo gioco sbagliato. Ripeto. Conosco e apprezzo le buone intenzioni degli organizzatori dello Zecchino d'oro. Pensano davvero di fare una buona cosa per i bambini. Fanno una cosa che in altre televisioni del mondo addirittura non è permessa (l'uso dei bambini come materiale da circo) e che farebbero meglio a ripensare se non sia compito degli adulti insegnare, con pazienza e bravura. E' diritto dei piccoli sedersi in platea e godersi lo spettacolo. Oppure recitare, quando ne hanno voglia, spontaneamente e senza telecamere, in modo che il loro sia davvero un gioco e non una parodia del mondo adulto. Una nota di tristezza. Il mondo adulto, che questi bambini vengono chiamati a imitare, è uno dei più penosi, quello della «canzonetta» commerciale. Perché? Insisto, per fare spettacolo i bambini dello Zecchino d'oro sono troppo piccoli, dunque sono usati. Ma non dimentichiamo che a quell'età Mozart era già Mozart. Perché il programma non potrebbe trasformarsi in un insegnamento di vera musica, e smettere di essere il circo un po' sguaiata di una gara che i bambini non devono, non possono fare? Furio Colombo I bambini sul palco dello «Zecchino d'oro». Colombo: «Scimmiottano il peggior mondo adulto» Una scena da «lo speriamo che me la cavo». A destra: Cino Tortorella, Mago Zurli nel 1969

Persone citate: Cino Tortorella, D'orta, Lina Wertmùller, Mago Zurli, Mozart

Luoghi citati: America, Italia, Stati Uniti