Kohl: i tedeschi in Somalia di Francesco Fornari

Kohl: i tedeschi in Somalia «Bonn deve agire subito se non vuole perdere la sua credibilità» Kohl: i tedeschi in Somalia Manderà 1500 soldati, per l'Spd è un golpe BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Anche Kohl manderà i marines in Somalia: 1500 soldati tedeschi partiranno entro sei settimane, ha annunciato ieri il Cancelliere, sollevando subito polemiche roventi fra l'opposizione socialdemocratica, che ricorrerà alla Corte Costituzionale. Anche se il battaglione sarà impegnato soltanto in «zone già pacificate», quella di Kohl è una decisione senza precedenti dalla nascita della Repubblica Federale nel 1949; un segnale con il quale il Cancelliere vuole attribuire alla nuova Germania un ruolo politico pari alla sua influenza economica: «ì tedeschi devono agire se non vogliono perdere completamente la loro credibilità». Soldati tedeschi armati non avevano mai partecipato a operazioni al di fuori della zona di influenza della Nato o del Patto di Varsavia, nel caso della «Nationale Volksarmee» e della ex Ddr. Ma da quando, due anni fa, ha ritrovato la propria sovranità, la Germania ha mostrato nuove ambizioni, anche se il «nano politico» è rimasto a lungo a guardare. Solo con l'arrivo al governo di un nuovo tandem - Klaus Kinkel agli Esteri e Volker Ruehe alla Difesa - il processo si è accelerato. A maggio, Ruehe ha mandato in Cambogia infermieri e medici militari, i primi uomini della «Bundeswehr» - non armati - a intervenire al di fuori della zona Nato. A luglio un incrociatore è stato inviato nell'Adriatico per partecipare alla sorveglianza dell'embargo dell'Onu contro la Serbia. Questa politica dei «piccoli passi compiuti» ha provocato l'aspra reazione dei socialdemocratici, ostili a qualsiasi intervento dell'esercito tedesco al di fuori delle aree Nato. Nella speranza di bloccare l'incrociatore, l'Spd si è appellata alla Corte Costituzionale. Anche questa volta i so- > cialdemocratici faranno ricorso. Ma la risposta potrebbe arrivare soltanto fra qualche mese: e nel frattempo la missione dei 1500 soldati non verrà sospesa. Ieri il leader dell'Spd, Engholm, si è indignato per quella che ha definito «una provocazione aperta contro il Parlamento», e ha accusato Kohl di avere aspettato le vacanze natalizie del «Bundestag» per non doverlo consultare. Ma il Cancelliere avverte l'appoggio di un'opinione pubblica molto sensibile al dramma somalo: scegliendo la Somalia un Paese devastato dalla fame e a scarso rischio militare - per il primo intervento armato della «Bundeswehr» all'estero, Kohl ha messo l'Spd in posizione di debolezza. Già da giorni la maggior parte dei commentatori chiedevano del resto una partecipazione tedesca all'operazione multinazionale. «La Germania non può e non vuole restare da parte», ha detto il Cancelliere evocando le «immagini tremende di bambini affamati che hanno sconvolto la coscienza del mondo». Per la prima volta, il Cancelliere non ha nascosto la sua impazienza per il dibattito sull'intervento delle truppe e l'interpretazione della Costituzione. Le sue parole sono state, quasi, l'eco di quelle del ministro Schwarz-Schilling, uscito l'altro giorno dal governo con fragore per protestare contro l'indecisione di Kohl di fronte alla guerra jugoslava: «Abbiamo bisogno di decisioni, non di discussioni giuridiche senza fine». Emanuele Novazio pesanti del tipo «Abrahms», veicoli di ogni genere, artiglieria, containers di materiale strategico. «Restore Hope» è una operazione militare vera e propria: quando arriveranno gli altri marines, saranno più di ventimila i soldati americani in Somalia. E qualcuno incomincia a chiedersi se non sono troppi, e troppo armati, per un'operazione umanitaria, che avrebbe lo scopo di far arrivare viveri e soccorsi alle popolazioni dell'interno, dove finora nessuno si è ancora avventurato perché le strade sono insicure. A Belet Wen nei giorni scorsi ci sono stati altri combattimenti tra clan avversari. Forse un così grande spiegamento di uomini e mezzi ha come obiettivo non soltanto la scorta ai convogli, ma un intervento militare sul campo per risolvere una volta per tutte il problema somalo. Ma a favore di quale dei contendenti? Le fazioni che contano nel Paese sono quelle che fanno capo al generale Haydid e al presidente ad interim Ali Mandi. I quali continuano a dichiarare di volere la pace e, in un incontro alla presenza dell'inviato del governo di Washington, l'ambasciatore Oakley, si sono scambiati promesse di collaborazione, calorose strette di mano e l'impegno per arrivare a una soluzione pacifica che riporti il Paese alla normalità. Ma in realtà nulla è cambiato. Di fatto Mogadiscio è ancora divisa in due: passare da un settore all'altro è un'avventura, ai posti di blocco vigilano uomini armati delle due fazioni, nessuno ha consegnato le armi come previsto da una bozza d'accordo firmata dai due «signori della guerra», anzi la tensione aumenta col passare dei giorni e il timore di una ripresa degli scontri fra gli opposti schieramenti è una minaccia sempre più incombente. La presenza dei militari americani può servire da deterrente, ma fra i somali comincia a serpeggiare il sospetto che prima o poi gli Stati Uniti si schiereranno apertamente da una delle due parti. E qui si dice che il favorito sarà il generale Haydid. Si parla, sempre più apertamente, di certi interessi americani nell'Ogaden, dove negli anni passati la società petrolifera Conoco ha fatto delle ricerche, localizzando importanti riserve di petrolio e gas naturale. Sarà un caso, ma il braccio destro di Haydid, Osman Ato, è il rappresentante in Somalia della Conoco. E c'è un progetto per lo sfruttamento dei pozzi di petrolio e delle riserve di gas, che prevede il collegamento con «pipe lines» dalla regione dell'Ogaden verso un porto sul Mar Rosso, Berbera o Bosaso. Sono voci che da qualche giorno circolano con insistenza a Mogadiscio, dove sono sempre di meno a credere che lo scopo dell'operazione salvezza sia soltanto quello di aiutare il popolo somalo. Per questo, forse, l'arrivo dei contingenti delle altre nazioni solleva preoccupazioni presso gli americani, che vorrebbero ritardarlo il più possibile e ridurne la consistenza. Ieri comunque l'assistente segretario di Stato Herman Cohen ha detto che le truppe italiane sono le benvenute. Un funzionario del Dipartimento di Stato ha dichiarato al «New York Times»: «L'ideale sarebbe che le forze internazionali arrivassero a metà gennaio». Prima di loro potrebbe arrivare Bush: il Presidente pensa di trascorrere il Natale a Mogadiscio. Francesco Fornari Qui a fianco il Cancelliere tedesco Helmut Kohl In basso uno dei due signori della guerra somali il generale Haydid vicino agli Usa