Usa, deserto il tavolo della pace

Usa, deserto il tavolo della pace Usa, deserto il tavolo della pace Gli arabi se ne vanno: «Avete ucciso la speranza» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'ottava tornata dei colloqui di pace per il Medio Oriente si è conclusa talmente male che, al momento, è difficile prevedere se ce ne sarà una nona. Le delegazioni arabe hanno disertato i tavoli della trattativa in segno di protesta per la decisione, assunta dal governo israeliano e ratificata dalla Corte Suprema, di espellere 400 palestinesi dai territori. Ieri mattina, il capodelegazione israeliano, Eliakim Rubinstein, dopo un'inutile attesa al Dipartimento di Stato, ha cercato di minimizzare gli effetti del boicottaggio, dichiarando: «Peccato, un'altra giornata è stata sprecata. Negli ultimi giorni erano stati fatti dei progressi e avremmo potuto servircene in un altro modo». Ma la portavoce palestinese Hanan Ashrawi e il capo delegazione Abdul Shafi hanno entrambi usato un'espressione molto più dura e definitiva: «La decisione israeliana ha ucciso il processo di pace». Si è concluso in questo modo triste e preoccupante un anno di trattative che avevano sollevato molte speranze, anche se non si può parlare di una rottura definitiva. Poi i capidelegazione arabi sono stati separatamente ricevuti da George Bush. Avrebbero desiderato che il Presidente uscente condannasse la decisione israeliana. Bush, pur essendosi dimostrato, durante la sua presidenza, il meno filo-israeliano dei suoi predecessori, non poteva farlo, anche perché avrebbe probabilmente aggiunto danno al danno. «Coglieremo l'opportunità fornita dall'incontro con Bush - aveva annunciato Ghassan al-Khatib, uno dei negoziatori palestinesi - per spiegargli quale insostenibile fardello tali atti da parte del governo israeliano buttino sulle spalle dei palestinesi e del loro gruppo dirigente». Il portavoce della Casa Bianca, Marhn Fitzwater, ha osservato, cercando di mantenersi in difficile equilibrio, che «le azioni e le dichiarazioni delle parti a distanza dai tavoli della trattativa non sono meno importanti dei negoziati stessi. Tutte le parti hanno bisogno di raccordare le loro voci per porre fine a tutte le forme di violenza ed evitare reazioni come le deportazioni, che rischiano di complicare la pace». L'amministrazione americana ha sempre criticato le deportazioni e quella di ieri è stata una delle più massicce dell'intera storia del conflitto, se si pensa che, negli ultimi cinque anni, dall'inizio dell'Intifada, gli israeliani avevano espulso 73 palestinesi. Ma Bush non poteva trascurare il fatto che, negli ultimi otto giorni, i terroristi del gruppo fondamentalista di Hamas hanno ucciso sei giovani israeliani e che, soprattutto, anche nella sinistra progressista israeliana cresce la spinta per assumere misure ancora più dure, come la pena di morte. Se questo è stato anche l'argo¬ mento con cui il governo israeliano ha cercato di giustificare la sua decisione presso la Casa Bianca, un altro elemento può aver influito sulla decisione di Yitzhak Rabin. Una nuova amministrazione americana, quella di Bill Clinton, sta per entrare in carica. Quando e se riprenderanno, i colloqui di pace avranno quindi un nuovo mediatore. E, come è noto, i democratici sono molto più filo-israeliani dei repubblicani. Israele potrà contare su una Casa Bianca più amica. D'altra parte, la protesta degli arabi ha inteso segnalare in anticipo questo rischio. Tuttavia le parole con cui gli arabi hanno ringraziato Bush e l'impegno dei negoziatori israeliani a voler proseguire nella trattativa lasciano aperto uno spiraglio. E Fitzwater ha potuto osservare che, nonostante tutto, «la pace tra Israele e i suoi vicini non è mai stata così a portata di mano come oggi». Paolo Passarmi

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