Martelli: questo è il rito di un addio di Augusto Minzolini

Martelli: questo è il rito di un addio Come il partito vive il dramma del segretario, strategie e alleanze delle nuove correnti Martelli: questo è il rito di un addio «Ma se fosse un inganno, sarebbe tanto peggio per lui» Gli oppositori: concediamo a Bettino l'onore delle armi ROMA. Serata di mercoledì. Convocato da Bettino Craxi, arriva all'hotel Raphael Umberto Del Basso De Caro, uno dei deputati del psi membri della commissione per le autorizzazioni a procedere. Tra i due comincia una lunga dissertazione sull'atteggiamento da assumere quando alla Camera arriverà la richiesta dei giudici nei confronti del segretario del psi. «Cosa pensi di fare? - gli chiede De Caro -. Vuoi chiedere tu stesso al Parlamento di concedere l'autorizzazione per difenderti nelle sedi giudiziarie?». Craxi non ci pensa su neanche per un attimo: «Nemmeno per idea - spiega - dobbiamo respingere quella richiesta e dare battaglia in Parlamento». «Dare battaglia», oppure «Non mi farò travolgere», od ancora, «Io sono un combattente»: è tutto in queste frasi il senso di quei «due giochi» che il segretario del psi sta tentando nell'ora del suo declino. Due giochi che riguardano da una parte il suo «dramma personale», che lui considera questione dell'intero psi, e dall'altra il fatto che per lui è praticamente impossibile - almeno così la pensa la maggior parte del suo partito - continuare a fare il segretario. Due giochi che, messi insieme, sono stati la miscela del colpo di scena, o del falso colpo di scena, che ha scompigliato la direzione socialista. Due giochi che, però, come credono Amato e Martelli, sono di fatto solò il complicato rito dell'uscita di scena dell'uomo che per 16 anni non è stato solo il segretario del psi, ma il psi. Craxi ha passato due giorni a dire ai suoi fedelissimi che «era pronto a mollare». Ha addirittura autorizzato i suoi colonnelli a trattare con i ribelli di Martelli sul nome del nuovo segretario. Ha chiesto lui stesso ad Amato di accettare la guida del partito. Eppoi, all'improvviso, la strana recita di ieri. Prima il suo segretario, Giallombardo, che esce dal Raphael e scommette, «un caffè contro una cena», che non si dimetterà. Poi, la sua relazione che sul «problema» lancia due messaggi contraddittori: «Avevo pensato di dimettermi... ma non lo faccio perché sarebbe come piegare la testa... sarebbe un segno di debolezza»; sul partito, «il mio mandato di segretario in scadenza... deve essere considerato in ogni momento a disposizione del partito». Due giochi quelli del segretario, ma forse anche tre o quattro. Tanti, che forse neanche bastano per spiegare il «dramma» di questo personaggio. Dentro l'apparente «contraddizione» craxiana c'è un po' di tutto. C'è il Craxi che non si arrende davanti ai giudici e davanti a chi, secondo lui, vuole affossare il sistema dei partiti. E c'è il Craxi che è consapevole del rischio, che corre, di essere abbandonato dai suoi stessi pretoriani. «Rischia - come paventa il ribelle Borgoglio - di finire impiccato come Mussolini». C'è il Craxi che, come dice brutalmente Santarelli, un ex deputato del psi che lo conosce bene, «aspetta di vedere se arriveranno avvisi di garanzia ad Andreotti, Forlani e a tutti gli altri, per risorgere, mettendosi a capo della rivolta del sistema politico contro i giudici». E c'è il Craxi che non può andarsene perché il successore che ha designato, Giuliano Amato, per ora non se la sente di fare il segretario del psi. E ancora, c'è il Craxi che non conosce la parola resa, «uno che - come spiega Del Turco - può dire tante volte che se ne andrà senza mai farlo». Insomma, ci sono tante cose in quella contraddizione apparente, ma, in primo luogo, c'è il dramma del personaggio che non può andarsene da colpevole, mentre fuori da via del Corso qualcuno gli grida «ladro». E tutto questo, messo insieme, ha dato vita alla trama, a prima vista senza logica, della giornata di ieri. Si parte la mattina con l'incontro tra Giuliano Amato e gli altri capi della maggioranza che mettono insieme un possibile percorso per arrivare al cambio del segretario: «Oggi Craxi offre le sue dimissioni - lo sintetizza La Ganga - e l'assemblea nazionale a gennaio elegge il successore». Poi, c'è la trattativa tra Amato, sempre in contatto con Craxi, e Martelli. Alla fine i due si ac- cordano addirittura sulla sceneggiatura della direzione: relazione di Craxi e due interventi per esprimere la solidarietà del partito al segretario, quelli di Amato e di Martelli. Tutto, naturalmente, dando per scontato un dato: Craxi, di fatto, è già dimissionario. Poi, nel pomeriggio, la direzione. Craxi recita la sua parte con quel «gesto d'orgoglio», come lo definisce Lagorio, che lascia perplessi i suoi amici e i suoi avversari. Cosa c'è in quel «non mi dimetto»? E' il solito tranello, come gridano uscendo dalla direzione per analizzare lo strano comportamento del segretario quelli della minoran¬ za? Davvero Craxi si è legato alla poltrona, si è avvinghiato al suo ruolo, come insinuano i vari Dell'Unto, Signorile, Borgoglio? Forse no, forse per capire quel messaggio contraddittorio bisogna dare più retta alle interpretazioni dei suoi delfini, vecchi e nuovi. E analizzando le parole del segretario del psi, insieme a quelle di Amato e a quelle di Martelli, ci si accorge che siamo di fronte al «rito» che accompagna l'addio di un personaggio qual è Craxi. Amato apre il suo intervento con una premessa: «Prendo atto della tua decisione di mettere il tuo mandato a disposizione del partito». Poi, la trasforma in un discorso pieno di riconoscimenti al segretario Craxi («sono diventato sottosegretario, vicesegretario ministro e presidente del Consiglio solo per la tua personale fiducia») che suona come un saluto di commiato. Mentre Martelli, quel Martelli a cui Craxi a fine riunione torna a stringere la mano, è addirittura più esplicito quando tenta di convincere gli altri ribelli a non violare il «rito». «Vedete - dice a Formica, Signorile, Manca e agli altri riuniti nello studio del vicesegretario dimissionario Di Donato - io che ho lavorato con lui per vent'anni so che gli è costato molto pronunciare un discorso del genere. Per questo credo che sia sincero. Dobbiamo tener conto del suo dramma, di quella liturgia che deve accompagnare l'uscita di scena di un personaggio come lui». Sì, un personaggio a cui tutto il psi, come spiega Francesco Tempestini, «deve concedere l'onore delle armi». E se, invece, tutto fosse un tranello? All'uscita non sono pochi quelli che lo pensano, ma il Craxi di oggi non è più quello che era. «Se fosse un inganno sono le ultime parole di Martelli, mentre lascia via del Corso sarebbe peggio per lui». Augusto Minzolini Il leader psi non vuole sentir parlare di autorizzazione a procedere «Daremo battaglia in Parlamento» Bettino Craxi: «Non mi dimetto perché sarebbe come piegare la testa, un segno di debolezza»

Luoghi citati: Roma