Don Carlo sfortunato per l'infame Pavarotti di Armando Caruso

Don Carlo sfortunato per l'infame Pavarotti Milano: colpito da influenza, il tenore è stato sostituito da Sergej Larin. «E' solo un raffreddore, il 19 tornerò in scena» Don Carlo sfortunato per l'infame Pavarotti E il grande Franco Coretti ricorda i suoi sei debutti alla Scala MILANO. «Don Carlo» non porta fortuna al tenorissimo Luciano Pavarotti: prima le tre note-cilecca, poi le polemiche sulle scelte («chi gliel'ha fatto fare di debuttare nell'opera verdiana a 58 anni?»), che hanno coinvolto la Scala e Riccardo Muti e, dopo la parentesi della seconda recita (successo), l'influenza che l'altra sera l'ha messo ko. Lucianone ha ceduto la parte al «doppio» Sergej Larin (che canterà anche oggi) ma con il suo innato ottimismo assicura che il 19 e il 22 tornerà in scena. Dal «Missori», dov'è ospite, si limita a poche battute: «La prego, non mi faccia parlare molto. Purtroppo c'è stato questo sbalzo di temperatura, ma non ho febbre alta. Ho preso antibiotici per precauzione, ora posso parlare, ma desidero non affaticarmi». Riprenderà il Don Carlo? «Certamente, il 19 sarò al mio posto. Non si tratta solo di ottimismo, sono un professionista che non si esalta quando ha successo, e non si abbatte quando altri dicono che va male». Pavarotti fa notizia anche se respira: non può permettersi neppure il lusso di beccarsi l'influenza perché c'è sempre qualcuno pronto a scommettere che si tratta del suo «canto del cigno», che con Don Carlo ha messo a iepentaglio le sue delicatissime corde vocali. «La voce è un dono di Dio dice - che si deve salvaguardare». Lui la salvaguarda? Negli ultimi anni non si direbbe: megaconcerti all'aperto, continui voli transoceanici, cambi di fusi orari, una stazza gigantesca e la voglia di esplorare un repertorio che non sempre è fatto per la sua voce. Il Don Carlo fa paura a tutti. «Di fifa ne ho avuta. Non ero preparato a sufficienza. Ho sbagliato perché non ho preso bene il fiato». Ma può la semplice «ammissione di colpa» cancellare le perplessità? Vediamo che ne pensa il grande Franco Corelli, di passaggio a Milano (vive a New York, ma nel '93 si trasferirà a Parigi, forse per aprirvi una scuola di canto): «Alla Scala ho debuttato ben sei volte con Vestale, Pirata, Fedora, Poliuto. Battaglia di Legnano e Ugonotti (22 minuti di applausi), ma dopo un lunga preparazione. Per preparare un'opera mi abbandonavo alla ricerca dei particolari storici, assumevo le sembianze del personaggio, mi truccavo e mi facevo fotografare in costume per rendermi conto dell'effetto estetico e psicologico, costringevo il mio vecchio pianista Schiavoni a suonare tutta l'opera finché mi entrasse nelle orecchie». Pavarotti ha anche detto di aver dimenticato le parole. «Può capitare. Io volevo essere sicuro che le parole mi rimanessero bene in mente. Mi bastavano due mesi per mettere in gola l'intera opera, ma avevo una memoria prodigiosa. Solo al Metropolitan ho dovuto studiare "Gioconda" in 10 giorni ascoltando dischi, perché ero impegnato in "Chenier" e "Emani". Ma non mi sarei mai gettato allo sbaraglio per il debutto in un grande teatro. Nel '58 ho provato due volte "Turandot", uno dei miei cavalli di battaglia, e poi ho affrontato la Scala». Anche Muti ha provato «Don Carlo» per un mese. Come ricorda il suo Don Carlo? «Mi preparai, come sempre, da solo, senza fretta. Poi per tre mesi con Gabriele Santini. Dovevamo rifinire ogni passaggio, bisognava maturare l'opera bene. Mi preparai a Milano e debuttai all'Opera di Roma. Avevo persino inserito due "do di petto" non scritti da Verdi, che oggi, giustamente, non si fanno più, alla fine del duetto dell'amicizia con Rodrigo e nel terzetto nei giardini della regina». Non era il solo però a studiare per tanto tempo un'opera. «Certamente. Pensi a Maria Callas. Tullio Serafin la costrinse a studiare per sei mesi "Traviata" a casa sua. Quando vinsi a Spoleto nel '52, studiai "Carmen" per quattro mesi. La stessa cosa capitò per il debutto di "Norma" a Trieste. Serafin costrinse me e la Callas a studiare tre mesi. Regista era Visconti. Ma il vero debutto avvenne all'Opera di Roma, direttore Votto. Anche Toscanini strapazzò il baritono Valdengo ma ne fece un grande Falstaff». Lei ha studiato solo. (Avevo 22 anni, ero un vogatore, campione di nuoto, curavo il fiato in modo eccezionale. Quando cominciai a studiare con un'insegnante persi gli acuti. Dopo mesi di silenzio ricominciai». la ricetta è massima cautela, studio e niente foibe? «Le follie devono evitarle i cantanti, ma anche i direttori. Una volta Santini strappò il mio contratto per la "Forza del destino" all'Opera di Roma perché riteneva i miei si naturali ancora duri. E mi fece debuttare nella "Vestale" di Spontini con la Callas perché non c'era da rischiare ed aveva bisogno di un bel fusto». E Toscanini com'era? «Mi faceva paura, ma con me fu gentile. In una pausa delle prove di "Vestale" mi disse: "Ragazzo, hai una voce fantastica. Non fartela toccare da nessuno"». Lauri Volpi l'aiutò. «Mi insegnò a respirare naturalmete, come fanno i bambini. Grande tecnica e miglior voce». Armando Caruso Pavarotti: «Ho preso antibiotici soltanto per precauzione»