Il cane l'ha fatta a teatro

Il cane l'ha fatta a teatro Aneddoti, astuzie e colpi bassi: il mondo dello spettacolo fra scena e realtà Il cane l'ha fatta a teatro E l'attore: «Proprio dove sto per morire io!» 7>T|E incontrate convivialmente avvocati, o medi% ci, o professori di uni1 1 versità, li trovate inclini hsJa parlare di tutto meno che del loro lavoro, come se tacitamente lo trovassero troppo noioso per tornarci sopra. Invece la gente di spettacolo non si stanca mai di chiacchierare del suo mondo: sono persone che hanno scelto come mestiere quello di fingersi qualcun altro, e per cui di conseguenza la vera vita è quella giocosa e immaginaria della scena, e l'altra solo un prosaico riempitivo che è meglio ignorare. Perciò non sposate mai un attore o un'at.-v trice, a meno che non siate di- ' sposti a considerarne lo professione come l'unica cosa veramente importante dell'esistenza, sua e vostra. Ma ascoltatene i discorsi, che per quanto ripetitivi spesso sono piacevolissimi. Non per niente gli inglesi, che lo sanno, sono avidi consumatori di fatterelli di show-business, e non c'è anno che il mercato librario non ne proponga qualche raccolta. L'ultima che ho letto è stata compilata da Ned Sherrin, attivo produttore e regista; si intitola Theatrical Anecdotes, e elenca in ordine alfabetico qualche centinaio di celebrità maggiori e minori, del presente e del passato, a proposito di ciascuna delle quali l'autore ha qualche episodio o battuta da riferire. Ne scelgo a mia volta un piccolo florilegio diviso per argomento e lo offro ai fan di casa nostra. Comincio con qualche imprevisto accaduto in scena. Durante uno Shakespeare alla Royal Shakespeare Company, regia di John Barton, un cane (autentico) fece i suoi bisogni al momento sbagliato, e dalla quinta si sentì imprecare: «Maledizione, proprio dove devo morire io fra cinque minuti!». Restando in tema, a Macready, in epoca vittoriana, capitò mentre faceva Amleto di accorgersi che re Claudio si apprestava a «morire» al centro della scena, e gli sibilò: «Guarda che lì ci muoio io!». L'altro rispose, sempre fra i denti: «Io sono il re, e muoio dove mi pare». Era evidentemente un avventizio, allora si prendevano anche per le parti importanti; per i personaggi secondari si faceva ancora così pochi decenni addietro. A Donald Wolfit, capocomico e attore shakespeariano itinerante, capitò di anticipare a un generico di questo tipo, arrivato brillo, che lo avrebbe licenziato subito dopo la recita; e quello si vendicò quando, dovendo annunciare al sovrano la morte di Lady Macbeth, gli disse invece: «La regina si è ripresa, ora sta benissimo». Un altro tipo di sorpresa la ebbe il protagonista di un Otello famoso. Mentre impostava il suo Iago, Laurence Olivier propose al regista, Tyrone Guthrie, una idea freudiana, e cioè che l'alfiere fosse sotto sotto innamorato del generale. Guthrie si dichiarò d'accordo, ma i due de- cisero di non parlarne a Ralph Richardson, che faceva il Moro. Così la sera della prima Olivier, durante la scena della follia di Otello, inopinatamente lo baciò; e dopo lo spettacolo Richardson prese da parte Guthrie e gli disse; «Da qualche tempo non noti qualche stranezza nel nostro Larry?». Consigli agli attori, a parte quello famoso di Wolfit, il più grande Lear moderno: «Trovatevi una Cordelia leggera». Tyrone Guthrie a Alee Guinness: «Mai segnarsi i movimenti sul copione. Se sono buoni, non si dimenticano. Se sono cattivi, meglio dimenticarseli». Guinness a Kenneth Williams: «Prima di entrare in scena, due cose: soffiarsi il naso e controllare se la patta è rimasta aperta». Come vedete, sono consigli terra terra, e un attore può rivolgerli anche a se stesso. Men¬ tre si preparava al suo disastroso Otello, Gielgud fu sentito riflettere a voce alta: «Come faccio a fare il geloso, io che non sono mai stato geloso in vita mia? Però, un momento. Quando Larry Olivier ebbe quel successo con Amleto... Sì, sì. Ci ho pianto». Da Marie Tempest Rex Harrison dichiarò di avere imparato il poco dignitoso trucco di mettersi a battere le mani forte subito dopo un'uscita, per stimolare il pubblico a fare altrettanto. Per i vuoti di memoria fu famoso A. E. Matthews, che una volta si scusò coi compagni durante una prova particolarmente disastrosa: «Abbiate pazienza, ragazzi, giuro che domani saprò tutto, come se fosse la prima». «Ma Matty - esalò il regista -, domani è la prima!». E le risposte brillanti? A Clara Boothe Luce, autrice, che gli disse «senza di lei io non v esisterei nemmeno», ^ Shaw ribatté: «Mi lasci pensare... come si chiamava la sua mammina?». A un villano del pubblico che - sentendogli invocare «un cavallo, un cavallo!» nel Riccardo III gli gridò «va bene anche un somaro?», Barry Sullivan (irlandese, XIX secolo) rispose senza scomporsi: «Certo, si presenti all'ingresso di servizio dopo lo spettacolo». A Ruth Gordon che gli descriveva così un progetto di regia moderna: «Niente scene. Nel primo atto sono a destra, e il pubblico mi deve immaginare in un ristorante affollato. Nel secondo sono a sinistra, e il pubblico mi deve immaginare a casa mia...», George S. Kaufman obbiettò: «E la seconda sera tu ti dovrai immaginare che ci sia un pubblico in platea». Poi ci sono le crudeltà dei critici. A queste un'attrice, Diana Rigg, ha dedicato un'antologia, chiedendo a molti colleghi le peggiori recensioni mai avute. Due esempi, uno per secolo. Shaw (quando era critico) sulla tipica commedia salottiera Anni 1890: «Pubblicità di sarto che scambia smancerie con pubblicità di modista in mezzo a un misto di pubblicità di tappezziere e arredatore». George Nathan, solone di Broadway, su un debuttante: «Mr Charlton Heston, bel giovanotto che l'industria cinematografica dovrebbe acchiappare senza aspettare un momento, se nutre qualche rispetto per il palcoscenico...». Egocentrismo degli attori e suo castigo. Primo esempio, John Gielgud e Clement Attlee. Si parla, chissà perché, di abitazioni. Gielgud: «Io sono molto fortunato, ho casa vicino al West End, al teatro ci vado a piedi. E lei dove abita?». Attlee: «Al numero 10 di Downing Street». Secondo esempio, a Hollywood. Presentano William Faulkner a Clark Gable. Gable: «Lei è scrittore, signor Faulkner?». Faulkner: «Sì. E lei, che mestiere fa?». Poi ci sono le pure invenzioni, ripetute anche sapendole false. Pia Zadora, ex attrice bambina americana, nega di avere mai recitato la parte di Anna Frank; ma su di lei si racconta che invece la fece, e così male che una sera quando arrivarono le SS alla ricerca di una piccola ebrea nascosta, il pubblico gridò in coro: «E' in soffitta!». Si dovrebbe finire coi titoli deformati, ma sono tutti intraducibili; ne dedico comunque uno geniale a chi sa l'inglese (e non si scandalizza). Si rappresentavano contemporaneamente a Londra The Royal Hunt of the Sun di Peter Shaffer, e un musical sulla Regina Vittoria, Albert and I; quest'ultimo fu prontamente ribattezzato «The Royal Cunt of the Hun». L'Unno era notoriamente il principe consorte. Per quanto riguarda l'allusione a Sua Maestà la Regina, il vocabolario potrebbe essere reticente. Auguri. Masolino d'Amico Clark Gable (qui con Carole Lombard): celebri le sue gaffes. In basso Rex Harrison: da una collega aveva imparato il trucco di mettersi a battere le mani forte subito dopo un'uscita, per stimolare il pubblico a fare altrettanto I Il cane lha fatta aE l'attore: «Proprio dove sto pBattute sbagliate ad arte, vendette sul palco, urla da dietro le quinte Charlton Heston. Sotto Laurence Olivier nei panni di Amleto. Nell'immagine in basso Alee Guinness io!». L'altro rispose, sempre fra i denti: «Io sono il re, e muoio dove mi pare». Era evidentemente un avventizio, allora si prendevano anche per le parti importanti; per i personaggi secondari si faceva ancora così pochi decenni addietro. A Donald Wolfit, capocomico e attore shakespeariano itinerante, capitò di anticipare a un generico di questo tipo, arrivato brillo, che lo avrebbe licenziato subito dopo la recita; e quello si vendicò quando, dovendo annunciare al sovrano la morte di Lady Macbeth, gli disse invece: «La regina si è ripresa, ora sta benissimo». Un altro tipo di sorpresa la ebbe il protagonista di un Otello famoso. Mentre impostava il suo Iago, Laurence Olivier propose al regista, Tyrone Guthrie, una idea freudiana, e cioè che l'alfiere fosse sotto sotto innamorato del generale. Guthrie si dichiarò d'accordo, ma i due de- sfolli baci di Olivier-Iago all'ignaro Otello, il veleno di Show, la gelosia di Gielgud cisero di non parlarne a Ralph Richardson, che faceva il Moro. Così la sera della prima Olivier, durante la scena della follia di Otello, inopinatamente lo baciò; e dopo lo spettacolo Richardson prese da parte Guthrie e gli disse; «Da qualche tempo non noti qualche stranezza nel nostro Larry?». Consigli agli attori, a parte quello famoso di Wolfit, il più grande Lear moderno: «Trovatevi una Cordelia leggera». Tyrone Guthrie a Alee Guinness: «Mai segnarsi i movimenti sul copione. Se sono buoni, non si dimenticano. Se sono cattivi, meglio dimenticarseli». Guinness a Kenneth Williams: «Prima di entrare in scena, due cose: soffiarsi il naso e controllare se la patta è rimasta aperta». Come vedete, sono consigli terra terra, e un attore può rivolgerli anche a se stesso. Men¬ tre si preso Otelloflettere cio a farsono mamia? Perdo Larrycesso copianto».Harrisonparato idi mettE le rra Bootdv e^ Spmava lavillano tendoglun cavagli gridòmaro?»dese, Xscompoall'ingrspettacgli descdi regiane. Nelstra, e maginalato. Nstra, e maginaS. 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Luoghi citati: Hollywood, Londra