Milano manda in archivio l'età dell'oro di Ugo Bertone

Milano manda in archivio l'età dell'oro La città è disorientata, ma i vip si dividono nel giudicare la lunga stagione del craxismo Milano manda in archivio l'età dell'oro «Di Pietro ha spazzato le illusioni» MILANO. Che città fulminea: poche ore e un'epoca dorata va in archivio. Nella Milano del post-Bettino vengono giù commenti come nebbia. E tristezze inaspettate, da uno che la nebbia la canta da trent'anni, Enzo Jannacci: «Io artista, operaio e medico della mutua, coetaneo di Bettino, e un tempo amico, sono depresso. Milano è città di fango. Le sue maggioranze silenziose subiscono i dittatori, ma poi, il giorno dopo, li appendono in piazzale Loreto». Disorientati i grandi milanesi, dal tonfo di un uomo che per sedici anni ha contato più di tutti, con modi bruschi e carisma, potere vero e appeal, aprendo e chiudendo carriere, selezionando gli inviti alla merenda degli Anni 80, quando l'Italia era «ricca e scontenta», ma più ricca di tutti era Milano, più riformista, con tanti garofani nel bicchiere (da bere). Babbia. E' anche questo il sentimento che serpeggia tra gli ex amici di Bettino. I non socialisti, come Jannacci, e gli ex socialisti, come Ornella Vanoni. «Sì, lo ero fino a dieci anni fa». E poi? «Poi sono successe cose antipatiche. Più volte mi hanno strumentalizzato, usato per la propaganda senza chiedermi il permesso. Io mi sono allontanata. E lui, Bettino, si è offeso». «No - continua la Vanoni - con Anna Craxi non ci sono stati dissapori. E' una persona molto civile, lei. Ma che storia... Come milanese mi vien voglia di darmi i cazzotti in testa. Avevamo tutto ed eravamo socialisti felici: Borsa, pubblicità, moda, tutto andava a gonfie vele». Eh sì, che anni formidabili, almeno per i campioni dell'effimero, delle piene, della finanza di carta. Gli stessi che Camilla Codeina liquida in una battuta: «Anni di lusso esteriore ma di povertà interiore, di mafie familiari e mafie amicali. Di prime della Scala, di abiti firmati e di tanti soldi in tasca». «Ma non erano anni facili per tutti - ammonisce Emanuele Pirella, pubblicitario, da sempre freddo con il craxismo -. C'era chi lavorava, come Krizia, come Armani, chi aveva idee brillanti. E poi c'era il delirio, l'illusione che la comunicazione, l'immagine potessero servire a tutto». Aggiunge Pirella: «Per questo credo che gli '80 saranno ricordati come l'età di Berlusconi più che di Craxi». Già, erano gli anni della «mentalità vincente», battuta cara al dottore di Segrate: la Borsa saliva, la gente prenotava fondi di investimento più che biglietti della lotteria. «In soli due anni - spiega Francesco Micheli, finanziere, protagonista di Piazza Affari e del mercato dell'arte - furono raccolti più soldi che in Gran Bretagna in un quarto di secolo». Anni d'oro, anni di boom. La voglia di Bettino esplodeva in Borsa. «E' uno che sa quel che vuole, come me», diceva Raul Cardini, Qualche anno dopo, nell'ottobre del'91, sir Raul, per primo, avrebbe commentato: «Mi sembra invacchito, forse è colpa di De Michelis». Una dichiarazione che fece scalpore, all'epoca: Bettino, infatti, era ancora nel pieno della sua potenza e molti, in Borsa, speravano che lui avrebbe riportato in piazza Affari gli anni belli. Che tempi, l'86-'87: i profitti raddoppiavano, le tasse erano lontane. E alcuni agenti di cambio, riconoscenti, investirono buona parte dei profitti acquistando la «Fiumana» di Pellizza da Volpedo a un'asta della Finarte di Micheli. Più di un miliardo per un quadro da offrire in omaggio a Brera. E Craxi, riconoscente, li invitò a cena. «Io - scherzava all'epoca Giampiero Cantoni, presidente della Bnl, intimo di Bettino - lo vedo gratis». E adesso? No, il professor Cantoni non fa commenti. «Milano - si limita a dire - mi sembra un pugile suonato. E non da oggi, badate bene». In controtendenza Andrea Balzani, l'architetto che si è occupato di tutto nei dorati Ottanta e che oggi ha una mezza voglia di andarsene via, tornare a Bologna, piantare tutto. «Tra qualche anno, quando sarà passato il livore, l'astio, il tornaconto politico, si accorgeranno tutti che l'epoca del potere socialista a Milano ha coinciso con il massimo di progettualità urbanistica. E' vero, ci saranno state pure le tangenti, le ruberie, gli eccessi, ma quel tentativo di razionalizzare la città, resta. Ed è stato un tentativo generoso, con buone idee, buoni progetti». Difende il suo passato l'Andrea Balzani e per ripicca, l'altra mattina, è uscito dallo studio per andare alla Federazione socialista. A farci che? «A mettere 100 mila lire nelle casse del partito e ritirare la mia prima tessera». La sua prima? «Nessuno ci crederà, ma io che pure sono considerato da tutti un intimo di Bettino, un super socialista, ho lavorato in questi anni senza tessera. Vi stupisce?». La ripicca e un'ammissione: «E' vero che a un certo punto, qui a Milano, le logiche sono saltate. Craxi ha esagerato con il potere e il tallone di ferro. C'è stato il cognato che ha soppiantato Tognoli, la corsa a entrare nella corte di famiglia e il partito, gli studi professionali, i giornali, si sono riempiti di maggiordomi». Per quella Milano dei salotti e dei portaborse firmati, non ha rimpianti Emilio Fede, direttore del Tg4, uno che ci tiene a definirsi «amico di Bettino». Dice: «Mi fa molta tristezza quello che gli è successo. So cosa vuol dire finire in guai giudiziari, sotto il fuoco dei giornali. E' crollato un mondo che magari era anche fasullo. Sì, Craxi dovrebbe farsi da parte, affrontare questa sua nuova battaglia e poi tornare in corsa. Lui ha le qualità». Non è tardi? Sospira Piero Borghini, il sindaco che Bettino volle a palazzo Marino: ((Avrebbe dovuto lasciare le cariche subito - dice - quando l'inchiesta ha investito il psi. Avrebbe avuto più possibilità di difendere se stesso e il partito. Sarebbe stato un grande segnale per il Paese e gli altri segretari politici. Ma, chiude Borghini, «nessuno può dimenticare quella grande stagione del riformismo». «Eppure Bettino non mi sembrava niente di speciale», sorride, l'immorale Moana, che ha dato i voti ai suoi amanti in un libro dove comparivano tutti i nomi tranne uno. «Craxi era nella norma. Troppo potente per rimanere indenne dalle tentazioni del potere». Il suo, dice, è un giudizio politico. Ugo Bertone Pino Corrias Borghini: «Bettino doveva farsi da parte prima» Jannacci: che tristezza Accanto, Ornella Vanoni A sinistra, l'industriale Giampiero Cantoni