Gruberova illumina «Traviata» di Giorgio Pestelli

Gruberova illumina «Traviata» Alla Fenice Gruberova illumina «Traviata» VENEZIA. Probabilmente non c'è teatro che regga il paragone con la corona di melodrammi rappresentati la prima volta alla Fenice e ancora oggi in repertorio; a conclusione delle celebrazioni per i duecento anni della sua storia (1792-1992), il Gran Teatro in campo san Fantin ha ripreso ima delle sue gemme più luminose, quella «Traviata» di Verdi caduta clamorosamente alla prima solo per spiccare il volo, già dalla seconda serata, al più generale e popolare dei trionfi. L'allestimento, in coproduzione con il Teatro di Montecarlo, riprende la regìa, le scene e i costumi che Pier Luigi Pizzi aveva già creato per la Fenice nel 1990: scene di efficace e sintetica bravura, con riflessi e annotazioni di denuncia morale, specie nel lusso provinciale delle feste a casa di Violetta e di Flora, fiorite di «chanteuses» e attricette, di balli e mezze luci propizie a peccati di una società stordita. Stella della serata Edita Gruberova nella parte affascinante della protagonista: la grande cantante si ascolta sempre con gioia e commozione per un'arte vocale che supera con somma sapienza le insidie degli anni. Prima donna nata, nel primo e secondo atto dà vita al personaggio con una verità rappresa persino in semplici monosillabi: il «Sì!» con cui incoraggia Alfredo a intonare il brindisi, il «Voi!» con cui replica a «D'Alfredo il padre in me vedete» di Germont, tutta fervida di sùbita gioia famigliare, ancora ignara della trappola in cui sta cadendo: particolari su cui si sorvola e che bastano a far sentire viva Violetta. E poi i nuclei maggiori: gli snodi e il legato dolcissimo di «Dite alla giovine», il senso di addio irrevocabile che riesce a dare alr«Amami Alfredo». E la scena madre della festa e dell'insulto di Alfredo: da quella concitazione così calda e gremita, dopo gli urlacci e le banconote scagliate nell'ira, riprende il ronzio del ritmo ballabile, pianissimo, e lei intona da terra «Alfredo, Alfredo, di questo core» con un filo di voce: ma un filo d'oro, di soprannaturale gentilezza che poco alla volta si naturalizza e si apre come il mare. Solo nell'ultimo atto, questa macerazione, questa incantata pena di gioventù si interiorizza troppo e la Gruberova sembra alla fine cantare solo per se stessa: «Ma se tornando non m'hai salvato, A niuno in terra salvarmi è dato», quasi non s'è sentito, togliendo alla creatura di Verdi la sua trasfigurazione eroica; il personaggio così impallidito viene risucchiato nel suo realismo in modi che si allontanano dalla classicità espressiva di Verdi; ma per tre quarti della serata la Gruberova ci ha dato abbastanza emozioni, e fra le più rare sulle nostre scene liriche. L'unità dello spettacolo è stata garantita dalla incisiva direzione musicale di Carlo Rizzi: qualche freddezza nel primo preludio si è riscattata in pieno nella intensa introduzione all'ultimo atto, e tutta l'opera correva e respirava con viva sensibilità per le situazioni e le sfumature dei sentimenti rappresentati sul palco. Accanto alla Gruberova doveva ruotare un'altra stella, il tenore Neil Shicoff, rapito all'ultimo momento da un impegno di famiglia; 10 ha sostituito nella parte di Alfredo il giovane Marcello Giordani, che dopo qualche titubanza iniziale ha messo in mostra freschezza di voce, pulizia di fraseggio e matura coscienza dei personaggio. Molto bravo Giorgio Zancanaro come Germont padre (ma 11 trucco dovrebbe invecchiarlo un po' di più), e nella norma le altre figure di contorno. Giorgio Pestelli

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