Stelle e serpenti La mala sulla pelle

Stelle e serpenti La mala sulla pelle Stelle e serpenti La mala sulla pelle UN CODICE TATUATO SE un uomo tatuato muore senza aver ucciso nessuno vuol dire semplicemente che non è vissuto abbastanza». Pregiudizio firmato Cesare Lombroso. Al criminologo non sarebbe bastato, per cambiare idea, sapere che negli anni a venire si sarebbero tatuati i presidenti della più grande potenza della Terra, da Roosevelt a Truman, a Kennedy, o statisti come Tito e Churchill. Altre indicazioni lo avrebbero invece confortato: il tatuaggio, pur divenuto vezzo da vip, non ha perso la sua identità di stimmate dell'adepto della malavita. Una mostra organizzata a Modena due anni fa tentò di classificare il linguaggio carcerario della mala: cinque puntini sulla mano indicano il livello più basso della manovalanza criminale; un bastone, quello intermedio; il ferro di cavallo con cinque punti distingue i boss. E ancora, dal dizionario tatto-carcerario: un grappolo d'uva sul braccio era il segno di distinzione di chi aveva scontato una pena nel carcere militare di Calvi, in Corsica; una farfalla indicava i ladri professionisti; un pugnale con attorno un serpente significava desiderio di vendetta. I tatuaggi di vendetta, in particolare, sono molto diffusi tra i detenuti, vittime spesso di delazioni e denunce, e in più condannati da una società il cui potere concede un'assoluzione solamente a coloro che al potere possono servire o che possono comperarsela. Altri disegni con questo significato sono tombe e teschi umani accompagnati da frasi che indicano il soggetto o il mezzo della vendetta. Immagini forti, evocative, ma tutte da decifrare, simboli di un mondo a parte. Altre volte, invece, come nel caso del malavitoso uccìso a Bologna, si preferivano le scritte. Da un campionario raccolto sulla pelle dei detenuti: «il penitenziario mi aspetta», «nato per soffrire», «marcia o crepa» o, addirittura, una linea segmentata intorno al collo con l'indicazione «tagliare qui». Se per la delinquenza europea il tatuaggio è un pur diffuso optional, per quella orientale è un obbligo. Il tatuaggio organico («irezumi») è da tre secoli il segno di distinzione dei mafiosi giapponesi (gli «yakuza»). Un segno di riconoscimento che costa molto in denaro (fino a dieci milioni di lire) e in pazienza (per completarlo ci vogliono almeno due anni). «Poche persone resistono fino all'ul¬ timo, la maggior parte si limita a far istoriare solo braccia e organi sessuali», rivelò il re riconosciuto di questa pratica, Bonten Taroo che nell'83 comprò un palazzo per crearvi la scuola internazionale di irezumi. A concedergli cinque miliardi di finanziamento fu il sindacato dei gestori di bagni turchi controllati dalla «yakuza» nei quali era possibile avere 40 minuti di massaggi sexy da affabili signore. Se queste erano tatuate, però, il prezzo raddoppiava. Non c'è nuova forma di delinquenza che si sottragga al fascino del disegno sulla pelle, la sua presenza funziona anzi come documento di legittimazione e codice di riconoscimento. L'ultima prova l'ha fornita il pentito Leonardo Messina, quello che ha consentito lo svolgimento dell'operazione Leopardo contro i nuovi clan della mafia siciliana. A finire in manette sono stati soprattutto esponenti delle cosiddette «stidde» (in siciliano significa stelle), gruppi alternativi alla mafia di Riina che reclutano i loro affiliati tra uomini d'onore «posati», cioè abbandonati dalle cosche, e delinquenti comuni. Per tutti, un unico segno di riconoscimento: una stella a cinque punte tatuata sul polso o tra indice e pollice. [g. r.] Un elemento trasgressivo ricoperto di tatuaggi, segno distintivo di un ambiente di malavita

Persone citate: Cesare Lombroso, Churchill, Kennedy, Leonardo Messina, Riina, Roosevelt

Luoghi citati: Bologna, Corsica, Modena