Tempesta sui francesi a Mogadiscio di Enrico Benedetto

Tempesta sui francesi a Mogadiscio Aidid e gli Usa contro i legionari dopo il pestaggio della ragazza. Parigi: colpa dei marines Tempesta sui francesi a Mogadiscio Italiani a guardia delporto PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Non vogliamo più in Somalia gli uomini della Legione straniera. L'ho spiegato all'ambasciatore francese: Parigi deve sostituirli con truppe regolari». In un'intervista televisiva messa in onda ieri sera su «France 2», il «generale» Mohamed Farah Aidid, uno fra i principali capi guerriglieri, attacca senza mezzi termini i legionari che operano a Mogadiscio. Non esplicita i motivi, ma l'accusa è fin troppo chiara: fraternizzare con le donne somale e avere il grilletto facile. Sono due imputazioni fasulle, comunque eccessive, senz'altro pretestuose quanto strumentalizzabili, ma il tentato linciaggio alla giovane Leila Hassan Sedie - lunedì dona loro una qualche credibilità e pone in grave imbarazzo Parigi, già tesa per le divergenze con gli Usa sulla missione Onu. Come non bastasse, dal comando Usa arriva uno schiaffo che fa male: i legionari devono lasciare il «posto di controllo chilometro quattro» nelle cui vicinanze uccisero giorni fa due somali in circostanze parzialmente oscure e che non li vide intervenire per difendere Leila. Ufficialmente, la loro partenza non è una sanzione: il lavoro li chiama a Baidoa. In realtà, pagano l'inimicizia dei somali e la claudicante solida- rietà americana. Che l'affronto bruci, lo si è visto nel tardo pomeriggio, quando Parigi ha reso una nuova, inattesa versione sull'incidente che ne fa risalire la causa agli americani. L'armée aveva già smentito che la giovane avesse trascorso la notte con i legionari, ma senza tirare in ballo circostanze precise. Ora, invece, l'ufficio stampa giustifica la sua presenza tra i chepì bianchi spiegando che avevano soccorso Leila «duecento metri più in là», dove i marines distribuivano cioccolata, per strapparla a una zuffa Nella loro filantropia, osserva Parigi, hanno privilegiato «le donne carine», donde la rabbia fra i maschi vicini. Che aggrediscono la ragazza per toglierle la mercanzia. Qualche francese interviene, la pone in salvo, quindi Leila viene fatta salire su una jeep della Legione per allontanarla dal pericolo. Ma, pochi attimi dopo, al «chilometro quattro» la folla intercetta il piccolo convoglio, e percuote la giovane donna, credendola un'accompagnatrice abituale dei chepì bianchi, mentre le telecamere filmano. «Ora sta bene», dice il generale Gerard Delbauffe, che la definisce «una vedova in condizioni psichiche instabili». Però non è chiaro come mai la sollecitudine legionaria sia all'improvviso divenuta indiffe¬ renza quando più Leila richiedeva soccorso. E che le sue condizioni siano buone pare dubbio: testimonianze la vogliono «tumefatta, incapace di parlare». Secondo il generale Delbauffe è libera, o lo sarà presto, ma per alcune fonti somale la processerà un tribunale religioso. Dopo lo scandalo, il caso non ha insomma perso l'alone del mistero. Senza i media che riprendevano implacabili la scena per trasmetterla nel mondo, sarebbe rimasto nell'ombra. Eccolo invece simbolo dell'ostilità somala verso i nuovi conquistadores. Qualcuno sospetta che dietro vi sia un'abile regia integralista: ultra islamici con basi ideologiche Teheran e Khartum. In ogni caso, l'insofferenza per i francesi è reale. «Ci portano l'Aids», urlavano lunedì i più esagitati. La non lontana Gibuti, avamposto legionario, ha cattiva fama. I chepì bianchi riuniscono, nella tradizione popolare somala, molti vecchi stereotipi: violenza, alcol, depravazione. La Francia non se l'attendeva, ma il clima è diventato difficile per i suoi volontari. Se qualcuno sbaglia, fanno sapere le autorità transalpine, «dobbiamo punirlo noi», malgrado la supervisione rimanga americana. E' l'ennesima polemica con Washington. Malgrado i ramoscelli di olivo che le due parti esibivano, ieri la tensione non è scesa. I francesi rivendicano il «sequestro di armi» come legittimo, mentre gli Stati Uniti parrebbero non volerne sentire parlare, come ribadiva ieri Marlin Fitzwater, portavoce presidenziale. Non resterà che attendere venerdì, quando il segretario generale dell'Onu renderà nota la lettera che inviò a Bush per inquadrare «Restore Hope». «Tu e io sappiamo che il disarmo delle milizie rientra nel piano, malgrado la risoluzione taccia in merito», sembra dica il messaggio. Frangois Mitterrand non potrà che rallegrarsene: sarebbe un'investitura per le tesi che Parigi difende. Non gli basterà, tuttavia, a risolvere la crisi africana e il malumore affiorante nell'armée. Parigi dietro gli americani nel Continente Nero: un boccone amaro per l'ex impero coloniale. Quasi a marcare l'insoddisfazione, il ministro della Difesa Pierre Joxe effettua in questi giorni una tournée in Argentina. Avversario di «Restore Hope», a inizio mese offrì persino le dimissioni, che l'Eliseo rifiutò, osservando che bisognava - semmai - intervenire a Sarajevo o in Mozambico. E da allora non passa giorno senza qualche guaio nel Corno d'Africa per il tricolore blu-bianco-rosso. Enrico Benedetto Somali in un campo profughi travolgono i soldati a caccia di un po'dì cibo [fotoap]

Persone citate: Aidid, Bush, Gerard Delbauffe, Leila Hassan Sedie, Marlin Fitzwater, Mitterrand, Mohamed Farah, Pierre Joxe