Eroe e brigante, in scena da 15 anni

Eroe e brigante, in scena da 15 anni Eroe e brigante, in scena da 15 anni //primo segnale della crisi: la malattia nel '90 ASCESA E CADUTA DEL CR AXISMO ALLORA si chiamavano «comunicazioni giudiziarie». Bene, «il segretario del psi, e presidente del Consiglio, eletto per la prima volta amministratore all'età di 22 anni, nel corso di più di trent'anni di partecipazione alla vita pubblica in diverse responsabilità...». E qui Craxi, che parlava di sé in terza persona - non per nulla tra le colonne del famoso tempio di Panseca - spezzò quella lunga premessa autobiografica con una delle sue pause. Riprese, monocorde: «In più di trent'anni di partecipazione alla vita pubblica...». Quindi con un brusco cambio di tono, qualcosa che lasciava balenare rabbia e sdegnata solennità, piazzò lì l'ormai attesissima zampata oratoria: «... non è mai stato raggiunto da una sola comunicazione giudiziaria!» Rimini, 45° congresso, aprile del 1987. Eh, bei tempi. C'erano gli sponsor e i sarti, alla fiera, la mostra garibaldina e la mostra craxiana internazionale del duo fotografo Cicconi, quello che in seguito per amore di Ghino si sposò nel municipio di Radicofani. La sera, al Grand Hotel, suonava un pianoforte a coda. De Mita, schiumante di rabbia, arrivava con l'aeroplanino di Tanzi e diceva che Bettino eia «inaffidabile». L'ambasciatore del Quirinale Berlinguer lo raggiungeva in elicottero e gli annunciava un nuovo incarico. Martelli, dolcemente, si concedeva alle insistenze di una troupe tv quasi familiare per farsi riprendere nel «Delfinario» di Riccione che però - guarda i segni del destino - era chiuso. E tanto non c'erano comunicazioni giudiziarie o avvisi di garanzia, che Craxi se ne poteva vantare in termini stentorei, definitivi, addirittura come snodo retorico. Erano, del resto, gli anni del consenso. Mica solo per la voce grossa con gli americani e la sfida referendaria vinta, né per il decisionismo, l'inflazione battuta, i successi libanesi, il pei spaventato, la de angustiata. No, adesso si può far finta di niente ma alla metà degli Anni Ottanta Craxi non era uno dei tanti comprimari del Palazzo. Era il protagonista, il mattatore. Discusso e odiato, certo, eppure nessun ridimensionamento a posteriori, nessuna rimozione o dannazione della memoria potrà mai negare che sia stato l'unico uomo politico in grado di evocare, suscitare qualcosa in più. Quella sua elezione-complotto quasi a sorpresa, con parrici- dio, in un albergo pacchiano della periferia. Quella sorda lotta non per conquistare, ma per impossessarsi del psi fregando ineluttabilmente, uno dopo l'altro, tutti i rivali dichiarati e non (nell'ordine: De Martino, Mancini, Manca, Signorile). E poi sostituirlo con se stesso, il partito, presto mandato coscientemente a ramengo, in un continuo azzardo che al dunque significava competizione più che temeraria, su tutti i piani, con tutti e due i grandi partiti-chiesa. Ottenendone in cambio, quasi subito, la riapertura di una vera e propria questione mussoliniana che affondava le sue radici giù, giù nel profondo dell'immaginazione degli italiani, in certi nodi ancora aggrovigliati, irrisolti. Che intanto però, nel caso di Craxi e del craxismo, si combinavano più o meno allegramente con quell'armamentario spettacolare durato dieci anni e che oggi ha ampiamente varcato i confini della nausea: garofani, stivali, acclamazioni, Raphael, giubbini e cappelletti vari da presentarsi in finto contrasto con grisaglie da «statista» (mai l'aggettivo fu più usato, e anche abusato, nei confronti di un politico vivente), canzoncine fuori misura che si intitolarono perfino «Mettiti il poncho, Bettino!», utensileria e altro materiale propagandistico contro il buon gusto, briganti senesi del Medioevo ed eroi del Risorgimento. Che Garibaldi, per fare un doloroso esempio, a tutto è servito e per tutto è stato tirato in ballo: dalla repubblica presidenziale alle minacce, vohjarucce nel caso specifico, ai giornalisti. Con i quali, nell'arco di sedici anni, Bettino ha avuto il classico, intricatissimo rapporto «né con te, né senza te vivere posso». Alcuni di loro scrissero divertiti e maligni dell'affollatissima carovana (c'era pure l'allora fidanzata di Bobo, oltre alla compagna di Martelli, incaricata di girare un documentario «per con¬ to del presidente») che viaggiò a sbafo per la Cina. Lui, ormai presidente, si auto-risarcì, in parte, facendosi seguire da taccuini e telecamere a San Fratello, sulle impervie pendici dei Nebrodi, luogo d'origine della famiglia Craxi (il cui illustre discendente ebbe in dono una puledrina). Oppure si fece accompagnare, così, per curiosità, nel collegio De Amicis di Cantù a rammentare gli studi adolescenziali e la bicicletta di don Ceriotti. Senza parlare di quelle affannose gite a Caprera ove Bettino si recava ogni anno per rendere omaggio appunto al suo spirito guida nell'isola dell'esilio. Tempo di epitaffi, adesso. Ma allora è bene dire che nessuno in tempi recenti è riuscito comunque a stare sulla scena, talvolta a dominarla, come Bettino Craxi. Anche per via di quella sua presenza fisica, come dire, esagerata. «Ma sai cosa vuol dire avere/ quasi due metri di statura/ a partire dalla terza elementare?» si è chiesto, in poesia, Michele Serra. E davvero fa pensare la risposta che, sempre in versi, si è dato: «Vuol dire incutere rispetto, timore/ sentirsi in dovere di diffondere verità e forza/ e vuol dire esser condannati/ all'omaggio servile dei compagni...». Chissà lui, che quell'idea di forza in qualche modo l'ha quasi assecondata: «Levatemeli di torno sennò li strozzo»; «Faccio saltare il tavolo»; «Il catafalco lo butto all'aria»; «Se qualcuno mi avesse insultato se ne troverebbe traccia in qualche pronto soccorso». In scena, poi, anche richiamato, riprodotto e moltiplicato per tre, quattro, cinque, sei attraverso quella sua famigliona così pervasiva e quindi così presente sui giornali, quasi dei moderni Napoleonidi dai buffi nomi: Bobo, Rosilde, Stefania, Paolo, il fratello mistico e orientaleg giante Antonio che si poteva incontrare, patrocinato dalla regione Lombardia e dal Quirinale, pure in un padiglione dell'Ansaldo (46° congresso) a parlar male della droga e della pornografia, che sarà pure ima cosa giusta ma anche allora, in pieno craxismo, non si capiva bene che cosa c'entrava col psi. Anche qui sono stati dieci anni così pieni, intensi e anche ripetitivi che dagli e dagli uno finiva per augurarsi che a far notizia, a regalare qualche residuo brivido fosse ormai qualche nipotino di Craxi, che di Bobo si sapeva tutto: libri, gusti e polemiche musicali, tifo milanista, carriera politica, servizio mili¬ tare m aviazione, matrimonio con Scintilla Cicconi, la sorella del fotografo, e così via. Sembrava uno scherzo, questa caduta d'interesse, questa noia. E invece, in qualche modo, era la fine del decennio, un'epopea che si era consumata, meglio bruciata. Tra la stagione del successo e quella, anche drammatica, della «mortificraxione», dell'inevitabile cecchinaggio e poi della sconfitta c'è una cesura. Simbolica per la data - primo gennaio 1990 - e anche per il resto: la malattia, quel precoma diabetico che agguantò Craxi in una misteriosa villa in Brianza che non si capiva bene di chi fosse. Evento privato invano nascosto dalla famiglia e dal partito, con un Martelli che, infelice, se ne esce: «Bettino è come una fuoriserie che fa il tagliando di controllo». Piccolo grande dramma personale che per forza di cose, e per quei meccanismi che proprio lui, Bettino, aveva saputo utilizzare e dominare così bene, viene spettacolarizzato. Nessuno capisce fino in fondo che la malattia coincide, obiettivamente, con la fine di una politica. Che l'ambizione socialista è finita nella palude di Forlani e Andreotti. Che dopo quell'evento che per fortuna non lascia segni sull'integrità fisica del personaggio, Craxi è comunque un altro uomo. Il problema è come i futuri biografi tratteranno questi ultimi due anni. Se li giudicheranno, oltre che politicamente non molto rilevanti, anche un po' patetici come quell'ultimo artificioso cortometraggio della regista americana di moda. Come le sentenze autoconsolatorie, le minacce che non fanno più paura, i fotografi che non fanno più clic al mercatino sotto la porta di Brandeburgo mentre Craxi s'infila il cappello dell'Armata Rossa, e allora lui deve infilarselo di nuovo e finalmente clic. La politica, che vive anche di crudeli contrappassi, ha questo di sorprendente: che, vivendola intensamente, i suoi protagonisti a tutto pensano fuorché a quello che domani potrebbe capitargli. Ed era più protagonista degli altri, Bettino Craxi. Sarà difficile sostituirlo sul palcoscenico. Filippo Cec carelli Al Congresso di Rimini disse «Non ho mai avuto una sola comunicazione giudiziaria» L'apice del consenso con il caso Sigonella La corte del Raphael e i templi di Panseca Qui accanto il leader del psi in abbigliamento casual. Sopra al congresso di Rimini dell'87 A destra con Nenni nel 1957 Qui accanto il leader del psi in abbigliamento casual. Sopra al congresso di Rimini dell'87 A destra con Nenni nel 1957 L'apice del consenso sorellae così vSemscherzta d'innoia. qualchfi d La famiglia Craxi in una vecchia immagine: la moglie Anna Maria e Bobo con Bettino che suona la chitarra Accanto il mito di Craxi, Garibaldi