Cinema italiano, su la testa!
Cinema italiano, su la testa! Bassano, chiusa la festa-convegno nel decennale della scuola di Olmi Cinema italiano, su la testa! Nichetti: basta chiedere aiuti allo Stato i soldi si devono chiedere a chi li ha BASSANO DEL GRAPPA DAL NOSTRO INVIATO Sul cartello d'ingresso alla città la prima riga dice: «Bassano del Grappa», e la seconda riga: «Repubblica del Nord». Sarà un'appendice ufficiosa, ma è stampata e a nessuno deve essere venuto in mente d'eliminarla. E'un'immagine d'Italia che hanno colto Ioseliani, Zanussi, Costa Gavras, i docenti e gli studenti di scuole di cinema francesi, ungheresi, romeni, brasiliani, arrivati per festeggiare i dieci anni di Ipotesi Cinema, la «non-scuola» di cinema guidata dal «professore d'impossibile» Ermanno Olmi, ideata con il dirigente televisivo e critico di cinema Paolo Vahnarana che dal 1984 non c'è più, sostenuta finanziariamente da Raiuno. Una festa-convegno di compleanno durata quattro giorni, conclusasi ieri, ricca anche di notizie: è stato finalmente firmato il contratto Rai per il nuovo film di Nanni Moretti, «Isole» o «Lettere mai spedite», storia d'una fuga e d'una solitudine alle Eolie; «In Calabria», il film-documento con il quale torna al cinema dopo dodici anni di lontananza il grande Vittorio de Seta, avanza nella lavorazione. Quattro giorni di discussioni intense e appassionate tra allievi e maestri di cinema (registi, produttori, sceneggiatori), persino di metafore poetiche: il cinema come fiore da cui l'aperegista distilla il miele-film (Silvano Agosti, applauditissimo), il cinema come uno di quei malati che subito si riprendono quando intorno al letto di dolore si affollano gli amici (Olmi). Quattro g'orni in cui è apparsa chiara la attura tra utopisti e pragmatisti, la frattura tra coloro che vedono tra cinema e tv un abisso linguistico-stilistico incolmabile e coloro che considerano l'immagine indipendente dal suo mezzo di diffusione: ma in cui s'è parlato del cinema con una schiettezza e un'attenzione molto rare nei convegni. Maurizio Nichetti, applauditissimo, ha sostenuto che il mercato delle sale cinematografiche rappresenta ormai una fonte di guadagno minore, per un film: «Basta piangere perché la gente non va più al cinema: peggio per loro. Si capisce che un film deve essere visto, sé no è come avere un paio di scarpe senza suole: ma c'è la tv, c'è il riiercato estero, c'è l'home video (tà Italia, i televisori attrezzati sono 8 milioni). Basta chiedere soldi allo Stato: i soldi si chiedono a chi li ha, è la prima regola, e se lo Stato avesse qualche soldo farebbe meglio a pagare altre cose prima del cinema, dico io». Pupi Avati e Marco Risi, applauditissimi, hanno criticato un cine vittimismo contemporaneo: se uno ha passione, forza, pazienza, se davvero vuol fare un film per dire qualcosa che gli sta a cuore, alla fine lo fa. Cristina Comencini ha osservato come i registi sembrino oggi esiliati dal reale, incapaci di guardare l'immagine di sé e del mondo quasi gli fosse diventata odiosa. Francesco Rosi ha rivendicato la necessità dell'aiuto dello Stato al cinema, della nuova legge attesa da tanti anni. Gillo Pontecorvo s'è chiesto perché un regista o un attore debbano guadagnare più di un professore universitario: i costi d'un film vanno ridotti, soprattutto adesso. «Più che incoraggiare i giovani a fare il cinema, io li scoraggerei», ha detto Suso Cecchi d'Amico, invitando i ragazzi, prima del cinema, a farsi una cultura. Claudio Bonivento, il produttore, l'ha spalleggiata: «Su trenta copioni italiani che leggo ventotto sono ignobili, senza qualità né gusto né passione. E i film? Alcuni sono invedibili: per forza il pubblico li castiga, non ci crede, non li vuol vedere». Per Francesco Maselli la tv deregolata ha provocato «un massacro culturale, un genocidio, programmando oltre duemila film al giorno». Ludovico Alessandrini, capostruttura di Raiuno, ha detto che oggi la tv pubblica considera il cinema di qualità «un fiore all'occhiello ormai appassito»; il direttore di Raiuno Carlo Fuscagni ne ha attribuito la responsabilità all'esistenza del duopolio Rai-Berlusconi e alla concorrenza tra loro per la conquista del pubblico; Giuseppe Cereda, che sovrintende alla produzione cinematografica della Fininvest, s'è chiesto se la gente di cinema non possa lavorare nella tv e sulla tv, trasformandola. Molte denunce, ma anche molti progetti. Alcuni assai arditi e tuttavia necessari, secondo Ermanno Olmi: «Per non restare inerti nel rimpianto del passato del cinema, nel lamento sul suo presente». Lietta Tornabuoni mi 5 ' M R h l Marco Risi ha criticato il cinevittimismo II regista Gianni Amelio
Luoghi citati: Bassano Del Grappa, Calabria, Italia, Raiuno
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