Nino, questo amore è uno spot

Nino, questo amore è uno spot Ferrara, non convince la commedia di Manfredi sul conflitto generazionale Nino, questo amore è uno spot Poche idee e troppa tv FERRARA. «Parole d'amore, parole...», commedia di Nino Manfredi (anche regista e protagonista) con musiche di Daiano, tratta un conflitto generazionale. Stefano è un pittore vedovo, molto amante dell'alcol e delle donne, disapprovato dal figlio austero e musone. In comune hanno la precocità: lui, benché considerato decrepito dall'erede (che sia pure per diffamarlo, sparge la voce di sue incontinenze notturne necessitanti il pannolone), è già soggetto, ad appena 55 anni, a vuoti di memoria e ad altre manifestazioni senili; e il ragazzo, ventenne, prodigio, è al quart'anno di medicina. La strana coppia riceve la visita di Terry, ex mangiatrice d'uomini, 45 anni dichiarati (ehm), e della figlia di costei Samanta, occhialuta, vergine e studentessa di psicologia. Samanta contesta la madre godereccia almeno quanto il figlio di Stefano si dissocia dallo stile di vita del papà; ma a differenza di lei, il figlio di Stefano cerca di impedire al genitore di commettere sciocchezze, e così come gli vuota di nascosto le bottiglie, ora vuole sabotare un suo temuto matrimonio con la troppo vissuta Terry. Sennonché, sorpresa, Stefano non vuole sposare Terry, bensì la severa Samanta, che, altra sorpresa, lo ricambia. Per impedire anche questa unione, suo figlio fa allora la corte a Terry. Ma come previsto anche dal gatto del Teatro Nuovo dove la novità ha inaugurato un ciclo di rappresentazioni che la vedranno senza dubbio trionfare in tutta Italia, alla fine i giovani si metteranno con i giovani, e i vecchi con i vecchi. Grato e commosso dell'accoglienza poco meno che trionfale tributatagli a Ferrara, alla fine dei 145' più intervallo il simpatico Manfredi ha ringraziato il pubblico, dicendo fra l'altro che il bello del teatro consiste in questo rapporto con gente viva, in grado ai dare subito all'attore la misura della sua riuscita. E' vero, ma in hient'altro il critico è riuscito a distinguere questo prodotto da una offerta televisiva delle più scontate: e sospetta che gli entusiasmi degli spettatori provenissero più che dall'amore per Tespi, dalla deplorevole gioia di ritrovare, a teatro, un equivalente del piccolo schermo. Intendiamoci, che avvengano scambi reciproci fra i media, cinema, teatro e televisione, non è in sé né un male, né cosa evitabile. Ma ditemi voi in cosa si distingue questo prodotto da tanti quotidianamente propinati dal tubo catodico. Come in quelle frettolose commediole, e come negli sketches dell'avanspettacolo di una volta, l'idea base è una sola e non suscettibile di sviluppi. I dialoghi sono improntati a una deliberata ba- nalità, come quando ci si preoccupava di arrivare al mitico contadino calabrese. La sceneggiatura è approssimativa, senza alcun tentativo di costruzione - la vicenda dura un giorno solo, in due ambienti, casa di Stefano e casa di Terry, durante altrettante riunioni del quartetto, ma essendoci continuamente bisogno di far parlare i personaggi a quattr'occhi l'autore ricorre agli espedienti più rozzi per far uscire quelli che non gli servono; una visita ai quadri di Stefano richiede più tempo di un giro del Louvre. Dalla produzione spira aria di economia, quattro soli interpreti e uno solo di nome, sceno¬ grafie modeste, vestiti chiassosi, musiche registrate. Infine, cosa più grave di tutte, uso, in quet'epoca di apparecchiature sofisticatissime, di amplificatori smaccati, assordanti, quasi si sia voluto dare apposta l'impressione che le voci vengano da un teleschermo; non di rado quando parlano, e sempre quando cantano, gli interpreti sembrano lavorare in playback. Con la sua intelligenza, con la sua serena ironia, Nino Manfredi ha dato moltissimo allo spettacolo italiano, e guardare la grazia sorniona con cui abita la scena è ancora un piacere. Ma tolte le accettabili prestazioni dei comprimari - una fo¬ cosa Fioretta Mari e due debuttanti già sicuri del mestiere, Rita Charbonier e Gianluca Guidi - tolta ancora la melodia orecchiabile di una sola canzone, l'ultima, non so in tutta coscienza cosa salvare di questo «potboiler» (avete un dizionario inglese?). Immagino che uscendo di casa per ascoltarlo dal vivo la gente compia una minima operazione culturale, così come leggere «La Gazzetta dello Sport» esercita il cervello più che guardare «90° minuto». Ma stavolta il confine fra dramma e videocassetta è così esiguo, che si stenta a rintracciarlo. Masolino d'Amico Dialoghi banali scenografìe modeste aria di economia Si salva solo la grazia sorniona dell'interprete Nino Manfredi e gli altri di «Parole d'amore, parole...»

Persone citate: Fioretta Mari, Gianluca Guidi, Masolino D'amico, Nino Manfredi, Rita Charbonier

Luoghi citati: Daiano, Ferrara, Italia