Il boss si pente in punto di morte

Il boss si pente in punto di morte Canicattì: a 83 anni scagiona il killer che era stato condannato per i delitti Il boss si pente in punto di morte «Quei due uomini li ho fatti uccidere io» AGRIGENTO NOSTRO SERVIZIO In punto di morte, Salvatore Corsello, un pastore di 83 anni coinvolto nella feroce faida di Canicattì, si è pentito. Ha confessato di aver fatto uccidere due uomini. «L'ho fatto per vendicare l'uccisione dei miei figli», ha detto poco prima di spirare. Si è liberato da quel peso che non lo faceva dormire la notte, tormentato dal rimorso. E, presenti due testimoni, il fabbro Calogero Monachello e l'autista Carmelo Curto, ha fatto testamento davanti al notaio Antonino Pecoraro. «Sì, lo dico per dovere di coscienza», ha dettato fornendo però particolari molto generici sui killer che, se ci si volesse attenere soltanto alle sue parole, non potranno mai essere individuati. L'ammissione fatta in extremis da Corsello potrebbe scagionare Giuseppe Lauricella, 44 anni, sposato, padre di tre figli. Assolto in primo grado e condannato in appello a ventidue anni di reclusione per uno dei due delitti, Lauricella è latitante da otto anni. Ha preferito sparire dalla circolazione molto probabilmente fuggendo all'estero piuttosto che tornare in prigione dove, prima della condanna, aveva scontato due anni di carcerazione preventiva. Ingiustamente, stando a quanto aveva dichia- rato e a quanto adesso afferma insistentemente la moglie, Maria Failla, di 42 anni, che, assistita dall'avvocato Salvatore Russello, ha presentato un'istanza per la riapertura dell'inchiesta e la revisione del processo alla Procura, dopo la pronuncia definitiva della Cassazione che ha convalidato i 22 anni di reclusione. «Se Corsello ha confessato, e su questo non vi sono dubbi, mio marito è veramente innocente, come abbiamo sempre sostenuto senza essere creduti», ha detto Maria Failla annunciando l'intenzione di «dare battaglia» per ottenere piena riabilitazione e dunque il ritorno in famiglia del marito. Canicattì è il paese dove vi¬ vevano i giudici Antonino Saetta e Rosario Livatino, assassinati dalla mafia perché le si opponevano e interpretavano il ruolo del magistrato non prevenuto ma severo verso i boss. Per l'omicidio di Livatino, nel settembre del 1990, recentemente la Corte d'assise di Caltanissetta ha condannato all'ergastolo i due imputati Paolo Amico e Francesco Pace, due «picciotti» di Canicattì che l'accusa ha descritto come spietati killer. Quando il notaio Pecoraro, il 15 gennaio scorso, ha preso atto delle ultime volontà e dell'inattesa confessione di Salvatore Corsello, non ha perso tempo e ha informato il pretore. E così che la macchina giu¬ diziaria si è rimessa in moto, per quanto lentamente, sui due delitti attribuiti all'ottuagenario morto poi una settimana dopo. A undici mesi di distanza, ora l'iniziativa legale della moglie di Lauricella. Corsello si è autoaccusato di essere stato il mandante degli attuati mortali a due esponenti della famiglia Sanfilippo, Calogero, ucciso il 2 dicembre 1977 e Luigi, il 9 febbraio 1981. Tutt'e due vittime di agguati, sarebbero stati assassinati perché a loro volta il 20 agosto del 1974 avrebbero ucciso, fatto a pezzi e infilato in due sacchi abbandonati in una casa di tufo a due chilometri da Canicattì, Angelo e Gioacchino Corsello, figli del vecchio. Nel testamento, Corsello non ha fornito indicazioni sui killer di Calogero Sanfilippo e ha detto ben poco anche su quelli di Salvatore Sanfilippo: «Dichiaro che per quanto riguarda il secondo omicidio ha dettato nel testamento esecutori materiali furono due calabresi che non mi dichiararono mai il loro nome, ma che uccisero per l'amicizia profonda che li legava a mio figlio Angelo». Come dire che nella violenta Canicattì, anche quando uno confessa due omicidi, mantiene sempre un certo margine di riserbo o, se si preferisce, meglio di omertà. Antonio Ravidà Canicattì è il paese dove viveva il giudice Livatino ucciso dalla mafia (a lato)

Luoghi citati: Agrigento, Caltanissetta, Canicattì