Dentro il covo delle «tigri» hindu di Mimmo Candito

Dentro il covo delle «tigri» hindu REPORTAGE LA MOSCHEA DELL'ODIO «Il ministro degli Interni sapeva dell'imminente assalto a Ayodhya e ha lasciato fare» Dentro il covo delle «tigri» hindu 1 fondamentalisti: mille morti per un intrigo politico NEW DELHI DAL NOSTRO INVIATO C'è ancora il coprifuoco nella vecchia Delhi, giorno e notte, e anche a Calcutta, a Bombay, a Bophal. Ma l'India torna alla normalità, e la normalità per l'India è un conto di una cinquantina di nuovi morti al giorno, tra gente che ancora si scanna per odi religiosi o che la polizia fa fuori per bloccare l'esplodere di una protesta. Ogni Paese ha la sua storia, e questa normalità «indiana» - che altrove sarebbe il caos - qui fa già ridurre di un paio d'ore nel pomeriggio la rigidezza armata del coprifuoco. Alle 2, senza un segnale né un orologio che lo faccia sapere, ma, puntuale, corale, una marea brulicante di folla riempie all'improvviso ogni millimetro di vuoto apparendo nelle strade dal nulla più cieco. E' un popolo di formiche impazzite, mai ferme, che poi, alle 4, come erano apparse dal nulla, nel nulla di nuovo finiscono, in un attimo. Quasi non si ha il tempo di accorgersene. E le città di nuovo mute tornano nelle mani dei soldati. Nessuno sa quanto si possa tirare ancora avanti con tanti soldati nelle strade, questa è una democrazia; 800 milioni di indiani la fanno la più grande democrazia del mondo. E certe regole bisogna rispettarle anche in Asia, quando si ha un Parlamento - e una Costituzione - che sono nati sotto l'occhio tutore della grazio- sa maestà britannica, maestra antica di fairplay e di rispetto delle forme. H primo ministro Rao assicura che è questione di «qualche giorno ancora»; ma la domanda andrebbe fatta piuttosto ai nazionalisti hindu, i cattivissimi di questo dramma che rischia sempre di finire in un massacro immane. Sono loro che hanno distrutto la moschea di Babri, scatenando il finimondo; siamo andati a trovarli. U loro capo si chiama Sundar Singh Bandari. In realtà sarebbe il numero due, ma il leader Ad va¬ ni il governo l'ha sbattuto in galera tre giorni fa e allora tocca a lui parlare. «La nostra battaglia sarà solo politica, nel rispetto della legge e della Costituzione. Questo governo vorrebbe incolparci di fatti che sono invece la dimostrazione della sua incapacità di guidare il Paese. Rao prepara le trappole e poi grida che noi vogliamo la guerra». Bandari è tondo, gentile e grigio come un mercante indiano, e la sede del partito ha il povero ingresso abbandonato al silenzio e una piccola bacheca polverosa piena di chiavi come la portineria di una topaia a ore. Con Advani in galera e con le minacce di una prova di forza decisiva, il Bharathya Janata Party qualche difficoltà la lascia trasparire. Ma nelle parole di Bandari passa anche qualche verità sospetta, tant'è che il governo non riesce a soffocare una lite in corso tra il ministro degli Interni («Non sapevo nulla di quanto si stava preparando a Babri») e i suoi servizi segreti («Bugiardo, ti avevamo riempito di rapporti su quanto stava per accadere»). Dietro i mille morti della guerra di religione comincia ad apparire la trama di uno sporco intrigo politico, che riguarda la gestione del potere in una società che sta mutando profondamente e dove la vecchia struttura onnicomprensiva del partito del Congresso (una sorta di de indiana, buona per tutto e per tutti) veniva messa in crisi dalla nuova baldanza del Pharathya Janata, partito vocione, scombinato, aggressivo, ma interprete credibile dei molti scontenti del passato e della nuova nascente middle class (una specie di lega, per continuare nella rozzezza utile del paragone). Dice Bandari, e scuote la testa: «Ci danno colpe che non abbiamo, il nostro successo è il risultato del fatto che sappiamo capire quello che vuole la gente». Anche Bandari dice cose vere e cose inventate. Ma il fanatismo religioso fa parte della storia costitutiva di questo Paese, l'ha ac¬ compagnata fin dal suo nascere, quando Gandhi si vide svanire nel sogno dell'indipendenza l'illusione di una nuova società laica e tollerante: Jinnah si portò nel Pakistan la gran parte dei musulmani della vecchia India, e un giovanotto che veniva dalle file dei militanti hindu dell'Rss ammazzò a pistolettate il Mahatma. Nazionalismo e hinduismo, identità politica e religiosa, si saldavano su quella morte. Il partito Bharatiya nasce dal ceppo culturale dell'Rss, che ormai ne costituisce una sorta di scuola-quadri (o forse anche di braccio armato); e il governo che l'altro ieri ha messo fuori legge l'Rss mostrava solo di non osar arrivare a mettere al bando l'intero partito Bharatiya pur se gli farebbe comodo. Su questo viluppo di serpi, che è pericolosissimo districare, si sta giocando l'uscita dalla crisi. Il governo ha fatto la sua parte, e in qualche modo, con tutti i morti e l'esercito nelle strade, va riprendendo comunque il controllo del Paese; quelli che la crisi l'hanno scatenata, forse volendolo e forse no, si trovano ora costretti a decidere se subire l'egemonia del governo o se richiamare i fanatici alla rivolta. Oggi, domenica, Barani dice che si comincia a provare: «Sarà un Black Sunday, con migliaia di manifestazioni di protesta». Black è nero, però il sangue, anche in India, è rosso. Mimmo Candito Due donne in una via di Bombay devastata dai rivoltosi musulmani ifoto apj

Persone citate: Advani, Barani, Gandhi, Janata, Jinnah, Singh

Luoghi citati: Asia, Calcutta, India, Pakistan