Racconto dell'orrore da Dubrovnik

Racconto dell'orrore da Dubrovnik La testimonianza di una donna di 78 anni: «Sono vissuta di frutta e bacche, non erano soldati ma belve» Racconto dell'orrore da Dubrovnik «I miei 14 mesi braccata dalla rabbia serba» DUBROVNIK NOSTRO SERVIZIO «Una nuvola nera ha ricoperto il cielo. Non c'è più luce. Non c'è più amore. I vecchi non asciugheranno mai più le lacrime dei loro nipoti. Sono rimasti soltanto i cani a difendere le loro case». Una scrittura incerta su un foglio sgualcito, malamente strappato da un vecchio quaderno. Parole scritte per ribellarsi all'oscuramento della mente, alla morte dei sentimenti che colpisce anche a 78 anni. Ci tiene a leggere la sua poesia Ana Carevic Due pagine fitte per esorcizzare la tragedia vissuta negli ultimi 14 mesi. Con la sorella Maria, ottantenne e quasi cieca, Ana è rimasta nel suo paese natio, Cilipi, durante tutto il periodo dell'occupazione dell'esercito serbo-federale della regione di Konavle, a Sud di Dubrovnik, dove c'è l'aeroporto. «Volevamo scappare anche noi, ma non sapevamo dove andare. Sono entrati a Cilipi in un pomeriggio pieno di sole. Sparavano su tutto, gridavano, ridevano sguaiati. Avevamo una paura terribile. Ho preso mia sorella per mano e siamo fuggite per cercare rifugio tra le rocce del monte San Giovanni. Ci siamo nascoste per tutta la notte in una specie di grotta. Al mattino abbiamo scoperto di essere a pochi metri di distanza da un cannone che stava bombardando Cilipi. Laggiù si vedevano soltanto fiamme. Abbiamo aspettato sino a tarda sera finché hanno finalmente smesso di sparare. Approfittando del buio siamo tornate a casa. Era una delle poche rimasta intatta. Quella notte abbiamo dormito raggomitolate in fondo al cortile. Alle prime luci dell'alba volevamo nuovamente raggiungere il nostro rifugio in montagna. Ma prima bisognava dar da mangiare al cane e alle galline. Loro erano già lì. Entravano nelle case, bestemmiavano, saccheggiavano. Abbiamo fatto giusto in tempo a nasconderci tra le macerie della casa bruciata della nostra vicina. Ci siamo ricoperte di cenere. Così avevamo lo stesso colore della pietra». Con le trecce avvolte intorno al capo, la lunga gonna nera tipica dei villaggi dalmati e l'immancabile grembiule a fiorellini bianconeri, Ana Carevic ricorda i giorni dell'angoscia e del terrore. A Cilipi erano rimasti in tutto sei o sette vecchietti. Cilipi è oggi un paese fantasma. Tra gli scheletri anneriti delle vecchie case in pietra sventrate dalle bombe e devastate dalle fiamme si aggira soltanto qualche gatto randagio. L'esercito jugoslavo se n'è andato il 20 ottobre scorso, dopo l'accordo Tudjman-Cosic firmato a Ginevra tra Croazia e Federazione serbo-montenegrina. A giorni dovrebbero ritornare i primi profughi. «Non erano soldati. Erano vandali senz'anima e senza cultura che distruggevano tutto per il solo gusto di annientare ogni traccia di civiltà. Per lo più miliziani montenegrini che hanno vissuto per mesi come bestie. Facevano i loro bisogni sui pavimenti delle case dove mangiavano e dormivano». All'inizio dell'occupazione Ana Carevic e sua sorella hanno dormito nella stalla di una loro compaesana, a pochi chilometri dal paese. Ma l'amica un giorno non ha più retto alla paura. L'hanno trovato impiccata alla trave del fienile. E' stato in qael momento che loro due hanno deciso di tornare a dormire a casa. Tanto, non avevano più scampo. «Loro venivano ogni giorno. Ci puntavano i fucili addosso e portavano via tutto quello che c'era da mangiare. Siamo sopravvissute mangiando fichi, uva, bacche di ogni genere». Come un inverno freddo e buio, nell'isolamento totale. «Un giorno ero uscita per andare in chiesa e mi sono imbattuta in due di loro. Tagliale la gola, dice uno. Lascia perdere, risponde l'altro. Non vedi che ha soltanto-due denti d'oro? Cosa vuoi che ce ne facciamo della sua testa? Le mie viscere erano attorcigliate dalla paura. Mi hanno lasciata andare. Pochi attimi più tardi ho sentito una raffica di mitra. Avevano abbattuto un cane gridando che era un bastardo ustascia». A Cilipi è rimasta intatta soltanto la chiesa di San Nicola, perché i serbi ortodossi lo ritengono uno dei loro santi protettori. Sul muro del campanile c'è ancora una scritta in cirillico, «Dio protegge i serbi». Dentro la chiesa tre statue martoriate: la Madonna con gli occhi cavati, Giuseppe decapitato e l'Angelo Gabriele senz'ali. «Ma loro non hanno un Dio, se l'avessero non avrebbero mai potuto fare quello che ci hanno fatto». Nella stagione d'oro del turismo di Dubrovnik tutte le domeniche mattina le donne di Cilipi, vestite con i loro meravigliosi costumi tradizionali, si esibivano in canti e balli popolari davanti alla chiesa di San Nicola. «Voglio mostrarvi una cosa». Torna con una fotografia in mano, Ana Carevic. L'immagine la ritrae da giovane, con indosso il lungo abito in seta preziosamente ricamato e ornato di pizzi. «Mi hanno portato via anche questo. L'hanno bruciato. Non ci vedo più bene e le mie mani tremano, ma vorrei ricominciare a lavorare all'uncinetto. Perché la vita deve ritornare a Cilipi». Ingrid Ba du ri sia

Persone citate: Ana Carevic, Angelo Gabriele, Cosic, Ingrid Ba, Tudjman

Luoghi citati: Croazia, Ginevra