Italia? No, Gran Bretagna

Italia? No, Gran Bretagna L'Economist disegna scenari futuribili di una Gran Bretagna con vizi italici Italia? No, Gran Bretagna ITALIANIZZAZIONE della Gran Bretagna: fiction o realtà? L'Economist sembra scegliere la seconda ipotesi. E ci crede talmente da dare il benvenuto, con humour tutto inglese, ma a denti stretti, a questo nuovo Paese ribattezzato per l'occasione «Gran Bretalia». Il serissimo settimanale economico si è preso anche la briga di disegnare una cartina precisa: capitale a Londogna, con relativa contea del Chiantishire, un borgo di Castelnuovo-sul-Tyne, un Nord chiamato Mezzanotte e pure un'appendice al di là dello stretto dove opera l'organizzazione di Cosa NostIRA, regione con capoluogo Belpasta (con pure l'aggiunta di uno stereotipato ritratto di boss). Un bel mix. Ma è soprattutto una prospettiva che fa paura ai sudditi della Regina Elisabetta come è facilmente intuibile nell'articolo in cui si disegnano avveniristici scenari. Siamo nel dicembre del 1999, scrive l'Economist, «e i leaders della Cee, al loro vertice di Vienna, si trovano nuovamente a discutere del bilancio comunitario». I tedeschi e i Paesi del Nord ancora una volta si oppongono al cosiddetto «pacchetto Lubbers che prevede di trasferire risorse ai Paesi poveri del "Sud". Favorevoli sono invece la Spagna, e, grande sorpresa, la Gran Bretagna». L'ancoraggio di quest'ultima al cosiddetto «Nord» rischia infatti di saltare. Eppure, ricorda il settimanale, tornando all'attualità, al summit di Edimburgo, aveva cercato di contenere i trasferimenti europei al minimo per i Paesi del Sud. Altri tempi, fa capire l'Economist, continuando nel suo gioco futuribile. Ormai la Gran Bretagna, «mostra caratteristiche tipicamente italiane, ancorché quelle più sgradevoli». Prendiamo il gover¬ no, continua l'Economist. «La Gran Bretagna sembra bloccata sotto un eterno regno dei conservatori, così come l'Italia sotto la de». Come se non bastasse, certi tipici e brutti vizi italici hanno fatto proseliti: il governo di John Major passa ormai da una crisi all'altra, per non parlare dell'atteggiamento «leggero» nei confronti della Cee. La Commissione comunitaria si lamenta ora di una certa lentezza britannica nel prendere atto della legislazione Cee, proprio come tende a fare l'Italia, continua l'Economist. Senza contare che «due anni fa i ministri inglesi si lamentavano delle convocazioni da parte degli italiani per consultazioni senza senso. Ebbene: due mesi fa il signor Major ha fatto altrettanto a Birmingham». Il quadro anglo-pessimista sembra essere confermato dalle statistiche. Secondo le previsio¬ ni della Goldman Sachs, il deficit pubblico britannico potrebbe salire al 9,5% del Pil nel '93-'94: un livello record. Quello italiano è all' 11,3%, e il governo prevede di ridurlo al 9%. Se da un lato il disavanzo complessivo in Italia è al 108% contro il 38% della Gran Bretagna, nei prossimi quattro anni, sempre secondo la Goldman, il disavanzo britannico potrebbe salire al 60%. Almeno sul finale arriva una nota positiva per il bistrattato BelPaese «E' una cosa negativa questo processo di italianizzazione?», si chiede l'Economist. «In fin dei conti gli italiani sono più ricchi degli inglesi». Insomma i britannici temono soprattuto un pericolo: che «la Gran Bretagna sprofondi metaforicamente al di sotto del ricco settentrione italiano, che fa parte del "cuore d'Europa", per tro varsi come un mezzogiorno as setato di fondi». [st. c.)

Persone citate: Elisabetta, Goldman, John Major, Lubbers, Mezzanotte