Abbraccio ti Mogadiscio tra i signori della guerra

Abbraccio ti Mogadiscio tra i signori della guerra Abbraccio ti Mogadiscio tra i signori della guerra IL GIORNO DEL CESSATE IL FUOCO MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO Il primo passo verso la normalizzazione è stato fatto ieri mattina alle 11,30, quando negli uffici della compagnia petrolifera americana Conoco, residenza provvisoria dell'inviato speciale di Bush, Robert Oakley, i due «signori della guerra», il generale Mohamed Farah Haydid e il presidente ad interim Ali Mahdi, si sono incontrati per la prima volta dopo la fuga del deposto presidente Siad Barre, nel gennaio di due anni fa, e la ripresa dei combattimenti fra le opposte fazioni. Ali Mahdi è arrivato con la sua scorta fino alla «linea verde» che separa la parte settentrionale della città, controllata dai suoi uomini, da quella meridionale, presidiata dai fedeli del generale. Lì è stato preso sotto la tutela dei marines che, con blindati e gipponi, lo hanno scortato fino agli uffici della Conoco, a pochi passi dalla residenza del generale Haydid, che è arrivato pochi minuti dopo, accompagnato da un piccolo gruppo di miliziani disarmati. I due «signori della guerra» si sono incontrati alla presenza di Oakley e del generale Johnston, comandante della «Restore Hope». Sorrisi, atmosfera rilassata, scambio di battute. Il colloquio si è protratto per circa un'ora poi, dopo una frugale colazione, Mahdi e il generale con i loro collaboratori si sono riuniti per stilare un comunicato in sette punti. Il lavoro si è protratto molto più a lungo del previsto, mentre un centinaio di giornalisti, fotografi e cameramen, riuniti nello spiazzo in cemento di un campo da tennis, sotto un sole cocente, guardati a vista da erculei marines con i mitra imbracciati, aspettava la fine dell'incontro. Alle 14,45, accompagnati dai loro consiglieri, Haydid e Mahdi sono comparsi nell'altra metà del campo di tennis, quella più in ombra, tenuta sgombra dai fanti di marina. In sahariana bianca immacolata il presidente ad interim, austero in un abito grigio il generale. Awele, addetto alle relazioni esterne di Haydid davanti ad una batteria di microfoni ha ricordato che questo incontro «è stato il frutto di un lavoro preparato nel corso di sei mesi di contatti e trattative». Affermando che i colloqui avvenuti in una «atmosfera cordiale, dove tutti erano contenti di trovarsi insieme», ha precisato che questo è stato il primo incontro preparatorio per una conferenza di riconciliazione nazionale che si terrà il prossimo 4 gennaio ad Addis Abeba, sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Subito dopo, un incaricato ha illustrato i sette punti dell'accordo raggiunto tra i due «signori della guerra»: immediata cessazione delle ostilità; immediata cessazione di tutta la propaganda negativa; rimozione dei confini artificiali in città; impegno a portare tutte le armi e le «tecniche» (le camionette su cui sono stati piazzati cannoncini, lanciamissili, mitragliatrici pesanti) in luoghi stabiliti fuori città e sotto il controllo congiunto delle due fazioni. Il quinto punto prevede un nuovo incontro nelle prossime ventiquattr'ore (cioè oggi) del Comitato della riconciliazione. Al sesto punto tutti i somali vengono esortati ad impegnarsi seriamente per la pace e l'unità mentre l'ultimo punto contiene espressioni di gratitudine e ringraziamento alla comunità internazionale per lo sforzo fatto finora nell'assistere la Somalia e la speranza che l'assistenza prosegua anche nel campo della ricostruzione. Al termine della lettura di questo documento che dovrebbe di fatto sancire la fine di tutte le ostilità, incitati a gran voce dai fotografi, il Presidente e il generale si sono abbracciati ripetutamente. Faceva un certo effetto vedere questi due «signori della guerra» per i quali migliaia di persone sono morte, ridere e scambiarsi strette di mano come vecchi amici per soddisfare le esigenze della platea internazionale. Ma i giorni della violenza non sono ancora finiti. Per tutto il giorno si sono sentiti spari ed esplosioni un po' da tutte le parti. Sarà difficile ripristinare una parvenza di normalità in questa città dilaniata dalla guerra civile, dove decine di migliaia di profughi vivono in capanne di rovi intrecciati, si nutrono con una ciotola di farina e acqua, contendono l'erba dei prati alle capre. Il centro di Mogadiscio è in mano alle bande armate, per lo più ragazzini, che vivono di furti. Chi andrà a disarmarli? Ieri alle 9, nella zona del porto, banditi hanno ucciso due persone per impadronirsi delle loro auto. Nei quartieri periferici, una volta abbastanza tranquilli, adesso furti e aggressioni sono all'ordine del giorno. Col calar delle tenebre le vetture non transitano più. Ogni sera alle i.8 devo raggiungere il Sos Hospital per trasmettere il mio servizio col telefono satellitare della Caritas. A quell'ora, a queste latitudini è già buio. I primi giorni mi accompagnava in auto un solo uomo armato, adesso sono in tre ed ogni sera fanno percorsi diversi, sempre vigili, le armi puntate fuori dai finestrini. Armi che nessuno però intende consegnare perché sono l'unico mezzo di difesa contro i banditi che imperversano dappertutto. Continua intanto l'arrivo dei malines americani: ieri sono atterrati tre Jumbo provenienti dalla California, con circa 1000 fanti di marina. E' arrivato anche l'inviato speciale della Farnesina per la Somalia, Enrico Augelli. Definendo l'incontro fra il generale Haydid e il presidente Ali Mahdi un concreto passo verso la riconciliazione, ha ricordato come buona parte del merito spetti proprio all'Italia: «Dopo la visita, in settembre, del ministro degli Esteri Colombo, il nostro Paese ha svolto un'intensa attività diplomatica per cercare di riunire i clan al loro interno e costruire un dialogo». E' atteso per oggi il primo scaglione del contingente italiano che affiancherà americani e francesi nell'Operazione Salvezza. Francesco Fornati

Persone citate: Ali Mahdi, Bush, Enrico Augelli, Johnston, Mohamed Farah, Oakley, Robert Oakley, Siad Barre

Luoghi citati: Addis Abeba, California, Italia, Mogadiscio, Somalia